Succede, in verità, raramente, ma, quando succede, il fatto fa molto scalpore: se ne parla sui telegiornali e se ne scrive sui giornali per giorni. Com'è giusto che sia.
Mi riferisco al pietoso e tragico episodio della bimba di un anno travata morta in auto a Roma. Il padre, un carabiniere, l'ha lasciata per molte ore in auto, dimenticandosene: doveva portarla all'asilo. Ed ha espletato regolarmente il suo lavoro in ufficio, come ogni giorno. Come mai? Se lo chiede la madre in lacrime, la gente comune e anche l'esperto (psichiatra e psicologo). Anche perché ci sono, oltre l'immenso dolore dei genitori, risvolti di carattere forense. Qualcuno dei cronisti sui giornali ha tirato in ballo la "sindrome dei bambini dimenticati". Forse, esiste, ma come può essere dimostrata? Il giudice, che dovrà decidere per questo caso - abbandono di minore incapace aggravato dalla morte (omicidio colposo) quale sentenza emetterà, quella di condanna o di assoluzione? In realtà, si è trattato di una grave - in teoria imperdonabile - distrazione che ha avuto effetti drammatici. Su Trattato di Psichiatria clinica forense di Carlo Ferrio si legge: "Nel campo forense l'attenzione (e quindi, la mancanza di attenzione o distrazione nel compiere un’azione) viene presa in discussione, esclusivamente, a proposito di reato colposo". Ed è questo il caso. Il filosofo è antropologo Umberto Galimberti, nel suo poderoso Dizionario di Psicologia, Psichiatria, Psicoanalisi e Neuroscienze, a proposito della distrazione, cioè del difetto di attenzione, testualmente scrive: "È un'interruzione dell'attenzione di altri stimoli estranei all'attività in corso. Questi richiamano con la loro intensità l'attività del soggetto, abbassando la capacità degli stimoli che lo avevano impegnato nella primitiva attività di selezione". E, poi, precisa: "Si parla di distrazione anche in presenza di quella particolare Astrazione che è l'essere assenti in un pensiero, in un problema nel compimento di un'opera, al punto da non rispondere a stimoli e o eventi esterni, anche rilevanti". Ora, queste mie considerazioni, che hanno introdotto quelle di due esperti, non vorrei che mi facessero considerare uno psichiatra che si toglie il camice bianco per indossare la toga. Ho voluto, invece, dichiarare tutta la mia vicinanza a quel padre che si è distratto fatalmente, non per entrare in un bar per perdere tempo con una macchinetta mangiasoldi, ma, forse, per arrivare al più presto sul posto di lavoro, per servire lo Stato. Non so se il giudice che deve applicare la legge e attenersi al Codice penale, la può pensare come me. Perché la legge è legge e va sempre rispettata; anche quando deve soffocare i sentimenti, i moti del cuore di un giudice.