Cerano, l'uscita dal carbone prevista potrebbe costare molto e creare disoccupazione

Si torna a parlare della grande centrale termoelettrica a carbone, che si estende per circa 270 ettari presso la località Cerano, nel territorio di Brindisi: la Centrale “Enel Federico II”.

La questione che riguarda la seconda più grande centrale termoelettrica d'Italia e una delle più grandi d'Europa, ruota intorno alla strategia energetica nazionale che prevede, entro pochi anni, l'uscita dal carbone, la materia prima utilizzata dalla centrale, causa di una notevole e preoccupante quantità di emissioni di anidride carbonica e gas inquinanti.

Le Federazioni Filctem, Flaei e Uiltec, hanno illustrato, durante l'incontro con delegati sindacali e lavoratori elettrici della centrale brindisina, gli interventi da attuare per rendere concreta e fattibile, la decisione presa nella Conferenza sul clima di Parigi. Questa la sintesi della strategia: “Si stabiliscono i tempi per la riduzione obbligatoria del 40% delle emissioni di gas-serra e si prevede l'uscita dal carbone nel periodo 2025/2030, nella previsione che, nel 2030, si utilizzino, al 50%, fonti rinnovabili e più salutari”.

Questa prospettiva di de-carbonizzazione, però, potrebbe destabilizzare la situazione interna della centrale, per i suoi 1000 e più dipendenti che potrebbero perdere l'occupazione e per le gravi ripercussioni economiche che ne potrebbero derivare, in quanto, si stima che il passaggio dal carbone all'utilizzo di altre materie, possa costare quasi tre miliardi di euro. Perciò, una delle condizioni indispensabili sarebbe, prima di tutto, realizzare con molto criterio e assoluta gradualità, questa transizione energetica e questo probabile processo di rinnovamento.

Ilaria Bracciale

Redattrice

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