Il Rifugio del Cacciatore, un'oasi di pace in un luogo senza tempo

di Marco Antonio Presta 20 Gennaio 2021

Vi è un posto, tra Squinzano e Trepuzzi, dove il tempo non esiste. Un posto in cui il cuore e l’anima si mescolano facendo riemergere dal proprio inconscio, retaggi di una vita passata, forse mai vissuta.

Ciò che più sorprende, però, è la consapevolezza che in quel posto lascerai un pezzo del tuo cuore, perché sarà proprio la tua anima a suggerirti che era già lì dentro di te, latente, attendendo il momento in cui i tuoi occhi avrebbero visto luoghi così magici da inebriare la mente di quella Bellezza che solo l’arte può regalare; sì, perché quello che ho visto in questo luogo, è una vera e propria opera d’arte, un posto surreale, in cui l’antico si unisce al bello e il meraviglioso è simile ad un sogno. Il “Rifugio del Cacciatore” (già individuato dal GAL, per inserirlo in un percorso turistico) è una piccola chicca ideata e costruita da Pino Cocciolo, cacciatore, ma soprattutto amante del proprio territorio, che ci ha permesso di scattare alcune foto del posto. Con la sua divisa verde militare e la “coppola” del medesimo colore, mi fa strada in quella che da fuori sembra una semplice “pajara”, di cui ci si accorge camminando, solo grazie ad un piccolo cartello che recita: “no telefonini - ‘area protetta’ - vige il vincolo ambientale”, un messaggio chiaro per il visitatore che con gran piacere pagherà l’unico biglietto richiesto per avere acceso a questo luogo unico. In effetti è così, lasciati i propri problemi fuori, appena varcato il cancello, nulla resta della vita odierna, se non i piacevoli pensieri e un vecchio ritorno al passato, fatto di profumi campagnoli e vecchi racconti. Entrato nel piccolo rifugio, mi accomodo su una sedia di paglia e mi guardo attorno… Trofei da caccia, spezie varie coltivate in loco, conservate in piccoli vasetti e diversi oggetti tipici del nostro territorio, come padelle, cocci e pietre amorfe che fungono da porta penne; un vecchio dizionario sulla scrivania e dei fogli densamente scritti che donano quel tocco in più a tutto il locale. Sì, Pino scrive del nostro territorio, scrive e fotografa ciò che ora abbiamo e che spesso diamo per scontato ma che potremmo perdere, cosa che in larga parte sta già accadendo. Gli ulivi sono una sua passione, ma non solo, pajare, torrette, ipogei, tutto ciò che ha una storia fa parte della sua vita, una vita da cacciatore, intesa però come ricercatore. Il vero cacciatore non è quello che tutti noi pensiamo; il vero cacciatore, va per campagne conosciute a pochi, cammina per chilometri e chilometri scorgendo luoghi dimenticati ricchi di storia. Molti dei suoi libri raccontano proprio di queste esperienze rare e profonde che la nostra terra gli ha regalato. Apro e chiudo una piccola parentesi: il mestiere del cacciatore, tra i più antichi e controversi, potrebbe far nascere nel cuore di chi legge un senso di ingiustizia verso la fauna indifesa. Con tutto il rispetto per le idee di ciascuno, personalmente sono del parere che gli allevamenti intensivi siano la vera mancanza di rispetto verso gli animali e l’ambiente. D’altronde, la verità è che chi spesso s’indigna a sentir nominare la parola cacciatore, il più delle volte, fa parte di coloro che alimentano la macchina infernale dell’allevamento intensivo.
Tornado a noi, ciò che ho capito stando in quel luogo quasi ascetico, è che Pino ha realizzato un po’ il sogno di tutti, avere un posto in cui rifugiare la propria anima, un luogo dove rintanarsi nelle serate di pioggia, dove poter ascoltare lo scoppiettio del fuoco, accompagnato dal dolce fluire dei propri pensieri su carta e lasciarsi cullare dall’abbraccio del silenzio che spesso e volentieri manca nella vita di tutti i giorni.
Ad oggi, posso dire che Pino sia un grande uomo, un uomo genuino, poco propenso all’apparire e all’ostentare ma ricco di vita e di sapere prezioso che io ho avuto la fortuna ed il piacere di ascoltare.
Per questo gli dedico tali parole, con tutta la stima e l’affetto che merita.
Concludo con un breve estratto che mi ha particolarmente colpito, dal suo libro “L’ultimo canto delle cicale”:
“Quante pietre ci son volute,
quanto amore chi ti ha costruito.
Mobili ricchezze non hai avute
Di speranza e povertà ti sei vestito".

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