Di recente l’Unesco ha riconosciuto Patrimonio dell’Umanità i muretti a secco che connotano le campagne della nostra Italia e, in particolare, della Puglia e del Salento,
assieme ad altre regioni che ne avevano promosso la candidatura, quali Croazia, Cipro, Francia, Slovenia, Spagna.
Quanto sopra mi ha richiamato alla mente il panorama delle nostra campagne salentine e in particolare quelle del Parco S.Elia e della contrada Petrelli, dove i muretti a secco, che conferiscono particolare bellezza all’ambiente circostante, ricordano, tra l’altro, la laboriosità degli operai di un tempo - i cosiddetti paritari - che, con il sudore della fronte, hanno edificato e lasciato ai posteri uno dei primi esempi di manifattura umana, che tramanda a noi tutta la genialità, la fatica, la precisione e la bellezza del lavoro manuale di una volta.
Se poi ci si sofferma a pensare agli avvenimenti che hanno interessato quei muretti nei secoli passati, da quando hanno visto la luce ad oggi, la fantasia non ha limiti e può spaziare da quelli di carattere generale che hanno riguardato la Comunità circostante, che ha gioito o sofferto al loro cospetto, a quelli di carattere individuale dei singoli soggetti che hanno vissuto accanto a quelle pietre e che hanno pianto o sorriso per le loro vicende personali, talvolta dolorose, talvolta felici.
E non si può immaginare, quando si passeggia nel silenzio delle dette campagne, quel che ci raccontano, complice la nostra fantasia, quei muretti e cioè la necessità e gli sforzi dei contadini di un tempo di bonificare la terra al fine di renderla coltivabile e utilizzabile per la produzione dei basilari mezzi di sostentamento per la gente di quei tempi, nonché la fatica per raccogliere le pietre che emergevano dal terreno, da accumulare lungo i margini dei poderi per poi ordinarle cosi come noi oggi le vediamo, a seconda della funzione per cui venivano utilizzate e cioè come muri di difesa dei singoli poderi, ovvero di separazione uno dall’altro o di particolari esigenze dei contadini, quale, ad esempio, la formazione di recinti per la custodia di animali o addirittura di pareti per case di abitazione.
Come è noto la tecnica comune usata dai paritari era quella di partire da una base di più ampio spessore, che poi si riduceva in cima, collocando, senza malta, all’esterno le pietre più grosse, che venivano lavorate e adattate alla bisogna, mentre, all’interno, il vuoto, che veniva a crearsi, era riempito con le pietre più piccole informi, cosi come estratte dalla terra; in cima la testa era formata da pietre più grosse, opportunamente scalpellate, cosiddette “cappieddri”, che servivano per dare solidità a tutto il manufatto. Nel manufatto ogni pietra conservava, oltre i segni dei colpi dello scalpello del maestro, anche fossili e sedimenti del passato, di quel passato a noi in gran parte sconosciuto, risalente all’alba dei nostri territori.
Questa tecnica si è sviluppata in un arte tramandata di padre in figlio – i cosiddetti paritari - ; un mestiere che oggi da noi è quasi scomparso e che richiama quanto si rinviene nella costruzione dei muraglioni messapici, eretti a suo tempo a difesa delle città, dove, però, il materiale usato era costituito da enormi blocchi di pietra squadrati e posizionati a secco uno sull’altro, come è visibile nella zona archeologica di Valesio o in quelle di altri siti della Messapia.
Il Parco di S.Elia rappresenta uno degli esempi meglio conservati di questa tradizione e cioè quella dei muretti a secco cui l’UNESCO ha riconosciuto un valore culturale incommensurabile.
Percorrendo le strade del Parco si può osservare che in alcuni luoghi, come quelli riprodotti nelle fotografie allegate, si è riusciti a conservarli integri, mentre in altri sono stati abbandonati all’incuria del tempo, per cui il riconoscimento dell’UNESCO ci stimola ed è di sprone a conservare meglio questo patrimonio dell’Umanità, che è testimonianza di una storia contadina antica che mantiene intatta la sua autenticità nel tempo.