Quando si tratta di fare alcune considerazioni sul suicidio di una persona malata o sana di mente bisogna muoversi molto cautamente, vale a dire in punta di piedi.
Perché la mente umana, nonostante i progressi di questi ultimi anni della medicina e, in particolare, nel nostro caso, della psichiatria, rimane ancora insondabile, per non dire misteriosa. Non si può ragionare su qualcosa, su un fatto – il gesto estremo – che di per sé è irrazionale. A prescindere dal fatto che uno sia credente o non lo sia. Il credente dovrebbe considerare la vita sacra, un dono avuto da Dio prima e dai propri genitori dopo, del quale, peraltro, è usufruttuario e non proprietario. Chi non crede dovrebbe, invece, pensare un solo attimo che, togliendosi la vita, forse finisce lui di soffrire ma, nel contempo, condanna ad una sofferenza non fisica ma morale i suoi familiari (genitori anziani, moglie, compagna ed eventuali figli). Li condannerebbe a pesanti sensi di colpa per non aver colto in tempo qualche messaggio premonitore della tragedia e, quindi, non aver potuto soccorrerlo, standogli più vicini o affidandolo alle cure di uno psichiatra. Questa premessa per dire che la notizia del suicidio del primario pneumologo dott. De Donno, cinquantaquattrenne, nativo di Maglie, ancora in carriera, rimane per il momento oscura sulle cause che l’abbiano determinata. Si possono fare solo delle ipotesi.
Aveva visto bocciata la sua terapia col plasma immunizzato dell’infezione da Coronavirus; cosa che è stata per lui sicuramente un colpo duro, difficile da assorbire. Per non dire quanto gli sia nociuto quello scontro in diretta – l’ho letto sul giornale – sul piccolo schermo con il virologo Burioni, diventato abituale consulente televisivo di certi programmi miranti, più che ad informare, a fare spettacolo. D’altro canto, il conduttore era sì un giornalista ma non scientifico, uno di quelli che “mamma Rai” assume e conferma per anni (non due o tre stagioni) perché fa - come si suol dire - audience e fa lievitare i proventi della pubblicità. Secondo me, la pandemia da Covid, con le innumerevoli varianti che ne sono derivate, è stata gestita male sin dall’inizio.
Ha dato in pasto alla gente notizie vere e false tanto da abbuffarla e disorientarla. L’informazione scientifica deve essere misurata a, cura di esperti e, se e quando possibile, fatta in una sede idonea, negli appositi convegni, seminari, in un’aula magna dell’università e non nei salotti televisivi gestiti da Giletti, dalla Gruber, da Fazio e dalla signora (leggi padrona) della domenica, l’intramontabile Mara Venier. Tornando al suicidio del collega De Donno, nell’esprimere ai suoi familiari la mia vicinanza, nel pregare, da credente, per lui, il buon Dio affinché lo accolga tra le sue braccia misericordiose, non posso fare a meno di citare queste espressioni del grande Miguel de Cervantes, tratte dal suo famoso romanzo Don Chisciotte della Mancia: “Non se ne voglia vossignoria, padron mio, ma dia retta a me: viva ancora a lungo, perché la maggior pazzia che un uomo possa fare in questa vita è di lasciarsi morire, così senza ragione, senza che l’uccida nessuno che altra violenza e lo conduca alla fine, tranne quella della malinconia”.
(Lettera del dott. Salvatore Sisinni)