I minori stranieri di Squinzano incontrano la cittadinanza. "E' il segno tangibile del Natale"

“Un immigrato è qualcuno che non ha perso niente, perché lì dove viveva non aveva niente. La sua unica motivazione è sopravvivere un po' meglio di prima”.

E' in queste parole dello scrittore e poeta Jean Claude Izzo che è racchiuso il senso di ogni migrante, di ogni persona che lascia il proprio spazio, la propria realtà, il proprio nucleo familiare, la propria casa, il proprio letto, la propria quotidianità, per ritrovarsi dall'altra parte del mondo, sconosciuta, ignota, incomprensibile, lontana, a volte anche nemica. C'è chi lo fa per bisogno, fame, paura, voglia di futuro, voglia di studiare, o semplicemente per avere più opportunità, più speranza e possibilità. Tante e diverse le storie di ognuno di loro, dietro le quali si nasconde sempre e comunque una persona, il più delle volte frutto di dolore, deprivazione, miseria, difficoltà. Sono le tante storie dei ragazzi ospiti della struttura di Via Brindisi a Squinzano, presentati mercoledì sera alla comunità in occasione del concerto di Natale tenutosi in Chiesa Madre con tutti i bambini frequentanti le classe del catechismo. Tanto l'entusiasmo del parroco don Alessandro Scevola che ha presentato i ragazzi, entrati in chiesa con la bandiera della pace realizzata da loro e sulle note della canzone "Imagine" di John Lennon, come "parte integrante della comunità di Squinzano, ragazzi pieni di sogni e aspettative a cui giunga l'abbraccio virtuale da parte di tutti, in un atto d'amore e d'accoglienza che si amplifica ancora di più nel periodo del Natale". Toccante, poi, la lettura, sia in lingua italiana che araba, di una lettera, riportata di seguito, che racconta la vita difficile di un neo maggiorenne, il suo viaggio della speranza e la sua rinascita.

"Esiste un tempo in cui tutti i bambini del mondo scrivono una letterina ed in quelle poche righe sono impressi i desideri più grandi, con la speranza che essi siano esauditi. Mi è stato chiesto di fare lo stesso, così ho preso carta e penna ed ho impresso le parole che venivano dal cuore. È una lettera un po speciale ed è rivolta a te, fratello bianco. Ho iniziato dalle presentazioni, cosicché tu potessi conoscermi. Mi chiamo Amr, ho 18 anni appena compiuti. In Italia mi hanno detto che questa è l'età in cui si diventa maggiorenni. Nel mio paese lo sono diventato molto presto: avevo solo 7 anni quando ho abbandonato la scuola ed ho iniziato a lavorare; quando ho imparato a difendermi dalle persone cattive che perseguitavano me, la mia famiglia, estorcendoci il denaro. Avevo 7 anni quando ho iniziato a digiunare, affinché quel pezzo di pane di cui mi privavo potesse sfamare la mia sorellina. Avevo 7 anni quando ho iniziato a combattere la guerra figlia dell'odio, della sottomissione, dell'indifferenza.
Il tempo passava inesorabile ed ho creduto infine che quella fosse la vita che avrei condotto per sempre, finché un giorno, nel silenzio della notte, decisi di andare via di casa e non farci più ritorno, portandomi appresso l'unico ricordo a me indelebile: il dolore della mia famiglia. Ho compiuto il mio viaggio di solo andata, uno di quei viaggi dove il biglietto costa troppo e non prenoti il posto a sedere. Avrebbero potuto organizzarsi meglio. Eravamo seduti uno sull'altro, un po rannicchiati per farci spazio, al freddo e alla pioggia. Pazienza! Ero disposto a tutto purché le onde del mare mi portassero sano e salvo verso l'orizzonte su cui i miei occhi erano fissi, certo che da lì avrei trovato un mondo migliore. Finalmente ero arrivato a destinazione. C'erano tantissime persone ad accoglierci; si avvicina a me una donna bianca, mi tende le mani in segno di aiuto, mi abbraccia, mi sorride ed io inizio a piangere. Arrivo in Italia, in un luogo a me sconosciuto e non era più il tempo di pensare se fosse stata o meno la scelta migliore e mi affido totalmente a quella che diventerà la mia nuova famiglia.
Da quel momento son passati un po' di anni, ho imparato la lingua italiana, ho iniziato a lavorare per sostenere economicamente la mia famiglia, ho fatto nuove amicizie ed intorno a me ho solo gente che mi vuole bene. Forse qualcuno un po meno, ma vorrei che non provasse odio nei miei confronti. Se mi vedi sorridere per strada, canticchiare o giocare, sappi che alla fin fine, sono un ragazzino che sta iniziando a vivere. Questo è il mio Natale, e desidero un giorno di poter stringere tra le mie braccia mamma e papà e gridarli a gran voce: "Io sono felice!".

Ilaria Bracciale

Redattrice

"La comunicazione avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento d’anima."
(Henri Bergson)

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