Gino Peccarisi racconta la nonna centenaria e il suo incontro con il Sindaco Mario Pede e la Presidente del Consiglio Giordano

a cura della 06 Giugno 2023

Quando si raggiunge l’onorevole età di cento anni, oltre ad avere memoria storica degli eventi che hanno caratterizzato un’epoca, si diventa testimoni storici di continui cambiamenti

che hanno trasformato intere generazioni e di un ambiente difficile da ricordare. Ciò che traspare da sbiadite cartoline, residuate nei cassetti, in bianco e nero, è retaggio di un passato che raramente ritorna nei ricordi.

Era appena terminato il primo conflitto mondiale e i continui spostamenti delle truppe sul fronte avevano disseminato “la spagnola”, una pandemia che in tre diverse ondate, rappresentò uno dei maggiori disastri sanitari degli ultimi secoli. Denominata così, nonostante la penisola iberica fu tra i paesi non belligeranti. Non sottoposta alla censura di guerra, fu l’eco reale di ciò che succedeva quando le vittime della malattia e i morti in guerra continuavano a decimare la popolazione.

Nascere nel 1922 non fu del tutto ideale. Il Paese cercava di emergere dalle macerie del conflitto mentre si vivevano le ristrettezze economiche della ricostruzione. La terra rappresentava l’unica fonte reale di sostegno. Un popolo di contadini intenti alla coltivazione dei campi sorgenti di nutrimento. Si cresceva in fretta in quei tempi e la nostra Eleonora, ovvero Bianca, perché il nome di battesimo spesso non corrispondeva a quello utilizzato per il riferimento in vita, non diventò contadina, ma fu avviata al mestiere di sarta.

La vita di Bianca e del fratello Pinuzzo si complica quando il padre, già comandante di gendarmeria di un paese vicino a Squinzano, abbandonata la divisa per amore della mamma Lucia, muore a soli 32 anni, per broncopolmonite, lasciando orfani i fratelli all’età di 10 anni l’una e 7 l’altro. Una famiglia in preda a ristrettezze economiche con un futuro dalle tinte fosche.

Da giovane, insieme a Maria, che in seguito sarà cognata, moglie del fratello Pino, anche in questo caso col nome di battesimo Michele, frequentò la bottega sartoriale di “Mesciu Pici”. Era addetta alla realizzazione dei sottabiti, pantaloni e gilè. Gli stessi Domenico Modugno e Nicola Arigliano furono clienti della “bottega”, come riferito. Non si sarebbero potute effettuare le consegne se la nostra Bianca non fosse stata celere nella realizzazione dei manufatti cui era delegata.

In una Europa ancora alle prese con la ricostruzione, lo scoppio della seconda guerra mondiale destabilizzò ulteriormente l’intero pianeta. Il conflitto ebbe inizio il 1º settembre 1939 e si protrasse fino al maggio del 1945 con la resa tedesca. Bianca aveva da poco superato i vent’anni quando fu invitata per il rimpatrio del giovane Gioacchino, appena liberato dalla prigionia. Era stato detenuto in Africa Orientale. Era il figlio dei proprietari del palazzo dato in gestione per la sartoria e successivamente anche per la pasticceria e il bar di Gino e Tetta Passante, nella prossimità di Piazza Plebiscito.

Capelli ricci, scuro di carnagione, era seduto su di una sedia, osannato e riverito per essere stato al servizio della nazione. Vedendo Bianca, accompagnata da Maria, chiese che venisse offerto loro una tazza di caffè. Nacque una simpatia immediata con Bianca che Gioacchino suggellò con un bacio quando la mamma di lui li lasciò soli dopo aver salito le scale per cercare una sciarpa che potesse proteggerla dal freddo. Rossa in viso, in attesa di recarsi alla “Conca d’oro” per una serata di svago e balli, rimase turbata dall’audace gesto di colui che diventò poco dopo suo marito.

Bianca si sposa l’08 giugno 1947 e continua, dopo il matrimonio, da casa, a lavorare per la sartoria di Luigi, morto nel frattempo, mesciu Pici, con lo stesso impegno, dedizione e bravura. Nel 1948 nasce Enzo, il primogenito, e a distanza di tre anni uno dall’altro, prima Maria Rosaria, poi Gino ed infine Claudio. Otto nipoti completano la gioia di famiglie unite e solidali alle quali si aggiungono quelle di Gino, Rosaria e Lucia, figli del fratello Pinuzzo. Tutti insieme a condividere il tempo che passa, con i ritmi biologici inesorabili che accentuano le rughe e maturano professionalità fra i nipoti che concorrono a garantire la progenie.

I primi anni del matrimonio hanno visto Bianca e Gioacchino ospiti dalla nonna, “alla Turchiu”, in via Tripoli 34, dove abitava la Bice, seconda moglie di mesciu Pici e, successivamente alla via Podgora, a fianco alla vecchia abitazione del dottore Pagano, medico condotto del paese e della famiglia.

Il 31 luglio 1987 muore Gioacchino, a 72 anni, stroncato da un male, al tempo incurabile, lasciando nello sconforto non solo la famiglia e i suoi cari ma anche tutti coloro che lo conoscevano per il suo lavoro di autotrenista. Fu riferimento e istruttore per una attività faticosa e indispensabile, in quei tempi, utile per l’economia del territorio. Trasportava vino alla Lombardia e riportava, a disposizione dei negozianti, sacchi carichi di farina. Successivamente fu autotrasportatore di autovetture.

Dopo 100 anni Bianca, o Eleonora, è attorniata dai figli, nipoti e amici, con Assuntina giunta da Locorotondo per il lieto evento, a gioire e rivivere il lungo tempo che l’ha resa protagonista di un epoca. Quando il sindaco neo eletto Mario Pede e la Presidente del Consiglio Roberta Giordano hanno salito le scale dell’abitazione per formulare gli auguri alla centenaria, Bianca è “ringiovanita”, meravigliata da tante attenzioni, lei schiva e riservata, che ha sempre rifiutato ogni ribalta. Merita invece sottolineare la sua vita è stata vissuta in modo esemplare, iniziata dagli stenti generati dalle due guerre mondiali e culminata con la realizzazione dei figli, bene più prezioso di ogni uomo ed apprezzata eredità.

La sensibilità del sindaco ha reso prezioso un evento celebrato con un anno di ritardo, a 101 anni, a dimostrazione di come un Comune, retto da un Commissario, talora tralascia gesti ed attenzioni che rendono unita e solidale una comunità alla ricerca del senso di appartenenza.

Concludo con una simpatico aneddoto. Alla fine di una riabilitazione protesica pochi mesi fa, rivolgendosi al nipote medico, odontoiatra, congedandosi ha chiesto: “nipote mio, questa protesi mi durerà almeno dieci anni”? Noi gliene auguriamo ancora di più per disporre di un “documento vivente” al cui cospetto è possibile riavvolgere la pellicola del tempo.

Redazione

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