"Un aforisma del poeta inglese, un po' “stravagante”, per non usare un aggettivo spesso adoperato dagli psichiatri, recita: “Il ricordo della felicità non è più felicità, il ricordo del dolore è ancora più dolore”.
Il poeta è George Byron, vissuto nel primo Ottocento, ma dalle intuizioni sempre attuali. Tale aforisma mi è venuto in mente mentre leggevo su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 31 maggio scorso, l’articolo molto interessante e bene argomentato, a firma di Domenico delle Foglie, intitolato: “La repubblica e le 3 fasi del cattolicesimo”. La prima fase – quella, per fare qualche nome, dei Taviani, dei Gonella, dei La Pira, dei De Gasperi, tutti degni successori di don Luigi Sturzo – fu una fase felice per i cattolici, che nelle elezioni dell’aprile del 1948 sbaragliarono gli avversari del Fronte Popolare, cioè i Comunisti e i Socialisti della prima ora, rappresentati dal simbolo, sui manifesti elettorali, di Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi. A quella vittoria strepitosa contribuì non poco l’Azione Cattolica e la costituzione dei Comitati civici ad opera di Luigi Gedda, famoso medico gemellologo, su incarico di Pio XII. Io, non ancora adolescente, facevo parte del Comitato civico del mio paese. Per me e, credo, per tutti i cattolici impegnati in politica, quella fase fu felice, senza alcun dubbio. Poi venne la seconda fase, che si concluse con l’uccisione di Moro, un vero e proprio martire della politica, durante la quale era nato il “compromesso storico” tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista di Berlinguer. Erano nate, in quel periodo, le “convergenze parallele” (memoria morotea).
E allora erano cominciati i guai, perché si consolidarono le correnti nella DC e il partito dei cattolici si disgregò, sino a scomparire. Ne erano derivate la legge sul divorzio e poi quella sull’aborto, due leggi– si può dire – che spaccarono in due il nostro Paese. Negli anni Novanta, poi, il corpo mortale sotto la scure impietosa – non so quanto imparziale – del pool “Manipulite”. Scomparvero così, si dissolsero come nebbia al sole, gli storici partiti della Democrazia cristiana e quello socialista di Nenni e De Martino prima e, in quegli anni, di Craxi. Chissà perché quella scure risparmiò il Partito comunista (PCI). Tornando, ora, all’articolo di Domenico delle Foglie, esso si concludeva affermando che i cattolici in politica, attualmente, non contano più nulla o quasi. “Eppure – scrive testualmente – è impensabile una repubblica senza i cattolici”.
E aggiunge che, ormai, i cattolici hanno assunto il ruolo di spettatori. Io mi permetto di dire che più che spettatori sono dei gregari dei “capitani” degli altri partiti o movimenti di turno. Con tutto il rispetto che meritano i gregari che supportano i capitani delle loro squadre che gareggiano nelle competizioni sportive, soprattutto in quelle ciclistiche. Ma i tempi sono cambiati e con essi la società, la scuola, la giustizia, la sanità e, anche, la politica. Non so, però, se sia stato un bene o un male. Ci sarebbe, forse, da sperare nei famosi “corsi e ricorsi” storici di vichiana memoria. Per chiudere, tornando all’aforisma di Byron, il ricordo della felicità degli anni fine Quaranta e Cinquanta non è più felicità (almeno per me e per Domenico delle Foglie) mentre il ricordo del dolore (per i cattolici) degli anni Sessanta, Settanta e successivi è ancora più dolore".
(Lettera del dottor Salvatore Sisinni).