Devo subito dire, con estrema franchezza, che il nuovo libro di Loredana Ruffilli, "La via dei piccoli orrori", non ha deluso le aspettative dei suoi affezionati lettori – me compreso – e che è destinato ad acquisirne altri ancora.
Del resto, il talento, quasi sempre innato, quando c’è – e in Loredana c’è – viene fuori prepotentemente, nonostante ci sia sempre qualche detrattore, per lo più in casa propria. Docet, del resto, l’antico detto, di biblica memoria: “Nemo propheta in patria”.
Il suo stile, ormai, è ben consolidato, i suoi racconti si dipanano secondo la direttiva del "Come eravamo", resuscitando, soprattutto nelle persone molto sensibili e inclini alla commozione, molto ricordi e luoghi e persone del tempo che fu. È piacevole, singolare, inconfondibile, unico!
Ricordo ancora la dedica del suo primo libro Double face, che, ora, definisce la sua prima prova d’autore. Mi chiamò “strizzacervelli” – senza volermi, credo almeno, offendermi con tale appellativo.
Quel che si nota subito – e colpisce – nella sua agile, scorrevole prosa, è il modo con cui tratteggia nei minimi particolari, personaggi popolari molto noti; tanto da farteli vedere e quasi toccare con mano. E mi viene subito in mente Francesco, al quale dedica qualche paginetta del suo volumetto d’esordio Double face, quando puntuale arrivava nella sagrestia, dall’ingresso secondario, di servizio, indossava il lungo camice bianco (ovviamente senza la stola di colore viola del prete che avrebbe officiato il rito funebre).
Quindi, la croce dritta tra le due mani, apriva il corte e lungo il percorso che dalla casa dell’estinto portava alla Chiesa madre, a passi lenti, si muoveva molto compostamente. E d’inverno – lo ricordo bene – toglieva il berretto scuro di maglia, per rispetto del defunto di turno, nascondendolo malamente sotto un braccio. Era un personaggio che tutti conoscevano e rispettavano. Uno di quelli che papa Francesco avrebbe definito “invisibile” proveniente dalla periferia non del mondo ma del paese, dove era nato, cresciuto, educato senza però frequentare le Elementari (all’epoca non c’era ancora la scuola materna).
Passando, poi, al ricordo “bruciante” di alcuni luoghi descritti in "La via dei piccoli orrori", c’era un grande cinema che aveva sicuramente frequentato Loredana, come frequentavo io da adolescente, prima da solo o con qualche amico e, poi, anni dopo, appena maggiorenne – all’epoca lo si diventava a ventun anni – in dolce, femminile compagnia, soprattutto la sera del lunedì, quando si dava la possibilità di assistere a due film pagando un solo biglietto.
Quel cinema, però, mettendo da parte ogni sentimento di nostalgia, doveva essere demolito, per salvaguardare la salute dei cittadini fruitori perché costruito in tempi in cui non si sapeva che l’amianto era, ed è, un acerrimo nemico della salute. Però, sarebbe dovuto essere subito dopo ricostruito, possibilmente sulle ceneri del vecchio, cioè nello stesso luogo, perché un film, una rappresentazione teatrale, un festival della canzone inedita fanno cultura nel senso che elevano quella dei cittadini: quando di un piccolo paese di provincia. Il problema era un altro: quando le amministrazioni comunali – le giunte che sono poi quelle che decidono il da farsi – cambiano non solo nelle persone, ma anche nel colore in cui si collocano, non si arriva mai alla conclusione; si indicono “tavoli di lavoro” che poi, di volta in volta, vengono aggiornati perché – come recita un antico adagio latino - “Tot capita, tot sententiae”.
Altro aspetto, oltre quello della nostalgia dei luoghi e di alcune figure di persone che non ci sono più, è quello, nel romanzo della Ruffilli, della denuncia sociale di alcuni piccoli orrori che avvenivano per colpa di alcune persone (poche, credo) e con il silenzio e la connivenza di molti. Gli orrori sarebbero quelli di maltrattamenti su persone incapaci e per lo più, minori. O di uomini prevaricatori nei riguardi delle loro rispettive mogli o compagne o amanti. C’era, infatti, la mentalità – dire cultura è troppo! – che bisogna “farsi i fatti propri”, cioè che non bisogna spiare in casa del vicino.
Questo è vero ma è altrettanto vero che le “cose” non stiano meglio: il senso di vicinanza, di ascolto, di condivisione, di fratellanza nella società odierna, si è perduto. Nei piccoli paesi non c’è più quello scambio di visite e conseguente scambio di doni tra una vicina di casa e l’altra e, addirittura, si arriva, in una città dove quasi tutti si vive in palazzi di molti piani, in condominio, che gli inquilini o proprietari di un piano ignorano quelli del piano soprastante o sottostante, per cui si incontrano mai di proposito ma solo per caso, salendo o scendendo con l’ascensore. E le periodiche riunioni condominiali sono occasione, cioè motivo, non di incontro ma, per lo più, di scontro per motivi vari. Quando poi, un filosofo, Aristotele, disse che l’uomo è un “animale sociale” e uno scrittore famoso, Ernest Hemingway, scrisse un romanzo molto noto "Nessun uomo è un’isola". Puro esercizio di retorica, alla luce dei fatti...
Un piccolo rilievo mi sia concesso sul libro, esclusivamente personale (metto le mani avanti, non me ne vogliano gli estimatori del Manzoni – anche io lo sono -): alcune pagine dell’ultimo capitolo a me sembrano di vera, autentica poesia in prosa. All’altezza del celebre passo de I promessi sposi: “Addio monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo....”. Anche lì si trattava di un ossimoro, vale a dire della “dolce tristezza” di Renzo e Lucia che, a causa della cattiveria del potente di turno e della debolezza di un prete, si allontanavano dal proprio paese per poter coronare il loro sogno d’amore.
Chiudo questa recensione col dire che per la nostra Loredana, professoressa per mestiere e artista completa per diletto o vocazione – canta, recita, presenta libri, dipinge, scrive poesie – la strada è ormai spianata, senza ostacoli (è solo questione di tempo): il prestigioso Premio Strega le sorride già, le si sta avvicinando. Complimenti, Loredana! Sarebbe ben meritato. Ad maiora, ad meliora!
Il tuo amico medico strizzacervelli.
Lettera del dott. Salvatore Sisinni.