Stupore, rabbia, sdegno, tristezza. Chissà quali di questi sentimenti avranno attraversato la mente di quanti stamattina, passando da piazza Plebiscito e dirigendosi verso il Campanile, non hanno più trovato, al suo posto, dove sorgeva ormai da secoli, un’antica edicola votiva
che custodiva una statua del nostro patrono San Nicola. Chissà il devoto “Metrangolo” (l’unica scritta leggibile resistita al tempo riportava fino a poco tempo fa soltanto la dicitura "A devuzione Metrangolo") cosa avrà pensato da Lassù. Probabilmente avrà immaginato che ci saranno state buone ragioni per cancellare un "bene comune", un simbolo della comunità, anche se ospitato (da almeno un secolo) in un muro privato. Ma forse non sapremo mai il significato di un gesto sconsiderato compiuto da chi ha pensato di poter demolire con un martello, in un solo momento, secoli di storia e di devozione locale. Anche perché distruggere antiche architetture o anche espressioni artistiche semplici ma genuine resta un fatto incomprensibile, una scelta che va oltre il diritto legittimo di garantire la manutenzione di un bene di proprietà. Le edicole votive, incastonate tra i muri dei vicoli delle città e delle vie dei paesi, nonché nelle periferie e nelle strade di campagna, sono esempi di arte minore e sono anche l'espressione della libertà concreta di vivere la religiosità da parte di un popolo. Per questo sono patrimonio di tutti e non solo di chi acquista il fabbricato che le ospita. I cittadini che si sono rivolti alla nostra testata per lamentare il fatto, sperano in un ripensamento, ovvero che il Santo ritorni nel luogo dove il devoto “Metrangolo” lo aveva voluto decenni e decenni fa. C’è sicuramente il modo per conciliare la cura di un immobile e la tutela di un simbolo, antico, della devozione popolare. Siamo sicuri che ciò accadrà.