Quando un cuore si infrange, è sempre difficile, seppure impossibile, tornare al punto di partenza. E, quindi, le opzioni sono due: lasciarsi andare senza tentare di risanarlo in qualche modo,
oppure continuare a vivere, talvolta a sopravvivere, nonostante il cuore a pezzi non si ricomporrà più. E' quello che, a grande fatica ma con tanto coraggio, ha fatto Annamaria con il marito Antonio, squinzanesi d'origine, che di dolori grandi ne hanno avuto esperienza quando, ormai trent'anni fa, hanno perso il figlio Riccardo in un brutto incidente stradale sulla strada che porta nel vicino Comune di San Pietro Vernotico.
Un fatto di cronaca che molti ricorderanno, e che la notte del 15 gennaio di trent'anni fa sconvolse la cittadina, tra dolore, grande senso di perdita e disperazione. Quattro i giovani che persero la vita, tra i 17 e i 22 anni. Quattro amici. Quattro famiglie spezzate, fratturate. Un dolore duplicato, poi, nella famiglia di Riccardo, che viaggiava con il cugino, anche lui deceduto in quella notte. Una storia dolorosa e drammatica, che oggi Annamaria racconta in occasione del trentennale, condividendo con i lettori il suo dolore di "madre amputata".
"Il destino di Riccardo si è fermato a 17 anni" - dice la madre ripercorrendo nella memoria i momenti di quella sera, quando incapace di muoversi tentava a fatica di realizzare l'accaduto. Da quel giorno, la sua casa diventa un intimo raccoglitore di foto e ritratti del figlio, disegni e scritti a lui dedicati, oggetti comprati per lui e collocati nell'"angolo di Riccardo", fino a custodirne anche la moto proprio nella stanza appartenuta al ragazzo.
Una casa che da quel giorno parla di lui nonostante l'assenza, che rivela la non rassegnazione dell'intera famiglia, la ricerca costante della sua fisicità, la non accettazione della perdita. "Ho scritto a lungo per lui, pensieri e riflessioni, dopo l'accaduto, ma non ci sono più riuscita dal giorno del suo compleanno, quando sarebbe diventato maggiorenne, un uomo bambino che sognavo di vedere adulto" - continua la donna, che negli anni si è fatta forza grazie all'amore del marito, degli altri figli e dei nipoti, imparando a convivere, per quanto possibile, con quel senso di "rabbiosa impotenza" difficile da elaborare.
Una vita che è andata avanti, sì, ma che resta legata a Riccardo, con la sua foto a tavola, l'uso delle posate che preferiva e le immagini che ovunque lo ritraggono e che negli anni hanno raccolto carezze, pensieri e preghiere, sterili consolazioni di una mancanza mai colmata.
"Sono tanti i ricordi di Riccardo ai quali continuo spesso a pensare - dice ancora Annamaria -; lo rivedo sempre mentre usciva da casa, con la sua allegria e il suo carattere estroverso. Io non ho mai accettato quello che è accaduto, con il tempo ci ho convissuto ma è qualcosa di inaccettabile, che nessuno della mia famiglia, nemmeno dopo 30 anni, è riuscito mai a metabolizzare".
Tante le sfaccettature di una storia drammatica come questa, che stravolge la vita, cambia abitudini, impone nuove routine, crea nuove prospettive. Annamaria racconta, infatti, delle sue continue e quotidiane visite al cimitero, soffermandosi sulla "tradizionale" visita al camposanto la notte di San Silvestro, dove si è recata per trent'anni per fare gli auguri al figlio anche solo da dietro un cancello, sulle Sante Messe che fa dire ogni mese in memoria di Riccardo e degli altri ragazzi morti con lui, sulle celebrazioni in occasione del suo compleanno o dell'onomastico, sui sogni o sui piccoli "segni dall'alto" che, soprattutto i primi tempi, le hanno fatto sentire la sua vicinanza nonostante l'assenza fisica. Un amore viscerale mai attenuato quello della famiglia e dei genitori, che hanno creato per Riccardo una nuova "casa" in cui riposare, con la costruzione di una cappella privata familiare, ospitale e accogliente, con un sarcofago sul quale compaiono una sua fotografia, la Bibbia, una scultura che lo raffigura, un grande leone che oltre a richiamare il leggendario "Riccardo Cuor di Leone", rappresentava anche un lato del suo carattere forte e determinato già a soli 17 anni, un Centurione che lo veglia, e un affresco che riproduce una scena allegorica rappresentante il momento in cui un angelo prende il ragazzo per accompagnarlo dal Cristo Giudice. Una cappella interamente voluta e pensata da Annamaria, che dice: "saperlo lì mi rasserena; immagino che viva in una casa dove andiamo a trovarlo, lo salutiamo e andiamo via. Ecco, così è come se lo accudissi ancora".
Oggi, domenica 15 gennaio 2023, in Chiesa Madre, alle ore 18.00, fa sapere infine Annamaria, si terrà una Santa Messa per ricordare il trentennale della tragedia, perchè continuare a vivere nel cuore di chi resta equivale a non morire mai.