Pubblichiamo di seguito un'attenta riflessione del Dottore squinzanese Salvatore Sisinni in merito all'abolizione di alcune festività nazionali, compresa quella del 2 novembre,
giorno dedicato alla Commemorazione di tutti i defunti.
"Queste mie riflessioni - opinioni - non sono quelle gratuite di una persona perseguitata dalle malattie e condannata dall’anagrafe a non far più niente, tranne che, per fortuna, ad usare ancora la penna; ma sono fatti che cadono sotto gli occhi di tutti e, perciò, incontestabili. Mi spiego subito: nel nostro Paese – non conosco gli altri – le contraddizioni, in ogni campo, non si contano. Molti anni fa, non ricordo più quale Governo ebbe l’infelice idea di abolire alcune festività nazionali. Lo scopo sembrava buono: aumentare le ore annuali di lavoro e produrre di più. È risaputo, infatti, che il lavoro produce ricchezza. E si tagliò l’Epifania, il 19 marzo (San Giuseppe), il 29 giugno (Festa dei Santi Pietro e Paolo), il 4 ottobre (Festa di San Francesco, Patrono d’Italia), il 4 novembre (Giornata della Vittoria e Festa delle Forze Armate) e, financo, il 2 novembre, storica giornata dedicata alla Commemorazione dei Defunti. Avesse risparmiato almeno quest’ultima, anche perché quella del 2 novembre non è una giornata a colorito politico e nemmeno strettamente religioso. Gli atei convinti, sono sicuro, quel giorno si recano al Cimitero, non per recitare una preghiera, ma per deporre un fiore sulla tomba dei loro cari, mentre, invece, quella legge non sfiorò il Primo Maggio, Festa della retorica sindacale col relativo interminabile concertone in una piazza famosa della Capitale; così anche il 2 giugno, Festa della Repubblica, con la sfilata di tutte le nostre Forze Armate per le vie di Roma, giornata che, a causa del referendum, che si portò dietro non poche polemiche, divise in due l’opinione pubblica. E, men che meno, la scure di quel Governo, tentò di sfiorare il 25 aprile, Giornata della Liberazione dal nazi-fascismo. Ma io non voglio dire che fece male quel Governo a non toccare il 1° maggio, il 2 giugno e il 25 aprile, ma perché non riservò uguale trattamento al 2 novembre? Non credo che gli italiani se ne sarebbero dispiaciuti. Forse non aveva la stessa dignità? Ed ora voglio citare qualche altra contraddizione: in tempi un po’ lontani, cioè ai miei, a scuola si concedeva la vacanza, a Carnevale, solo il martedì, l’ultimo giorno della baldoria e il mercoledì l’entrata posticipata alle ore 9 e 30. Oggi sono tre giorni di vacanza, utili per andare in montagna. E poi si dice che l’anno scolastico italiano è più corto rispetto a quello degli altri Paesi europei. E, ancora, le periodiche riunioni sindacali per discutere, non di programmi scolastici, innovazioni, ma di problemi sindacali che comportano la fine delle lezioni con più ore d’anticipo, che causano disagio nelle famiglie e che – è risaputo – costituiscono ore di ferie pagate per i professori, almeno per la maggior parte, e non vedono l’ora di andare a casa, per nulla importandosi delle questioni sindacali del momento.
Ma c’è di più: nelle superiori, dove è istituzionalizzata, a cadenza mensile – se ben ricordo – l’Assemblea d’Istituto, alla quale partecipava una sparuta minoranza di studenti, quelli che intendevano fare carriera politica. La maggior parte di essi restava a casa, a dormire un po’ di più e non veniva punita. Non si deve dedurre che era meglio, ed è ancora, un giorno di vacanza legalizzata, dal momento che il Dirigente Scolastico e i suoi Superiori lo sapevano e non lo dicevano, almeno in pubblico? E potrei continuare citando altre contraddizioni, ma non ne vale la pena, tanto non cambia nulla! E, poi, l’esempio viene dall’alto: leggo, saltuariamente, sui giornali, che nelle Aule parlamentari, non di rado, le assenze superano le presenze. E, poi, si sopprime la giornata del 2 novembre e, cioè, si obbligano gli italiani a lavorare, forse per paura che l’Azienda Italia fallisca?... E io penso che quella visita al Cimitero, proprio in quel giorno altamente simbolico, possa servire a riflettere sulla morte che, prima o poi, arriverà per tutti. Del filosofo laico Benedetto Croce “il Giornale” di Napoli, il 25 febbraio del 1951, pubblicò queste sagge considerazioni: “Ma altri crede che in un tempo della vita questo pensiero della morte debba regolare quel che rimane della vita, che diventa così una preparazione alla morte […]. La morte sopravverrà a metterci in riposo, a toglierci dalle mani il compito a cui attendevamo; ma essa non può fare altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare”. Quanta saggezza! Mi auguro che questa mia lettera venga apprezzata, non per le cose che ho scritte io, ma per i pensieri intensi e profondi del filosofo napoletano".