I 'tombaroli' consegnino ciò che appartiene alla comunità

di Marco Presta 06 Agosto 2020

Ogni essere umano è legato alla scoperta, quel desiderio nascosto che fin dai tempi antichi ha segnato il cammino dell’umanità; umanità che grazie alla scoperta stessa si è evoluta e continua ad evolversi.

Immaginiamo per un attimo però, se tutte le scoperte fatte dagli albori del passato ad oggi, non fossero state condivise, immaginiamo se ogni scienziato, ricercatore, avventuriero, archeologo, esploratore, o improvvisato tale, avesse tenuto la scoperta per sé, a che livello socio-evolutivo ci troveremmo ora? Quanto sarebbe limitata la nostra conoscenza del mondo che ci circonda e soprattutto di noi stessi?
Lo spirito di condivisione purtroppo, non appartiene a tutti, e parlo soprattutto del mio territorio, prendendo in considerazione l’ambito archeologico, un ambito molto spesso sottovalutato, in realtà fondamentale in quanto, specchio delle nostre radici. Qui nel sud, la pratica del “tombarolo” è molto diffusa, ma non parlo di chi, da “ignorante storico”, trova una moneta e la porta a casa come trofeo per metterla nella propria vetrinetta, mi riferisco ad eminenti “collezionisti” che nella loro vita non hanno fatto altro che accumulare “trofei storici” rinchiudendoli nelle proprie case-museo. Gente colta che gode della stima del paese ma che nasconde un tesoro che forse solo dopo la morte verrà donato a chi di dovere, o forse no, rendendo la collezione non disponibile per lo studio del territorio. Questi studiosi dovrebbero capire che ogni singolo frammento situato nel loro appartamento, potrebbe fornire notizie di un’importanza storica globale. A Squinzano e dintorni, durante alcuni studi, mi sono spesso confrontato con persone che pur girando il territorio con il famoso metaldetector, vagliavano la possibilità di donare il ritrovamento ad un museo o alla stessa soprintendenza, come ho fatto io stesso quando ho rinvenuto una statuetta del paleolitico presso il convento di Sant’Elia. È un’azione difficile da compiere e molto generosa che richiede, a monte, un grande amore per la conoscenza, intesa come bene comune. Questo significa amare la storia, questo significa amare il territorio, questo significa darci una possibilità come popolo. A cominciare da prima dei Messapi fino ad oggi, la nostra storia è così stupendamente complessa e piena di memoria che solo uno studio approfondito può svelare ciò che ancora non c’è dato sapere, anche a causa, e mi dispiace dirlo, di quei cosiddetti ‘tombaroli’ che fanno razzia del sapere umano. Il mio appello è rivolto a loro, professori, studiosi, collezionisti che hanno vissuto di cultura e che spesso però, l’hanno sfruttata e derubata per un prestigio individuale o semplicemente una mera soddisfazione personale. Mi appello a loro perché restituiscano ciò non appartiene a nessuno ma è di tutti. Ridiamo voce alla storia e alle scoperte locali, non occultiamo la conoscenza collettiva per un piacere personale.

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