Che brutto scherzo ci hai fatto “Biondino mio”. Da te che ne hai fatti e ricevuti tanti di scherzi, in ogni circostanza, in ogni momento che per ricordarli tutti dovremmo vivere un’altra vita. Uno così non ce l’aspettavamo proprio.
Perché non c’era mai un discorso, anche il più serio, il più delicato, che alla fine non finiva con una battuta, una risata. Senza che mai nessuno di noi si offendesse. Per come ti apostrofavamo e soprattutto per come tu ci apostrofavi. I nostri incontri erano sempre una festa, un’occasione per fare il punto della situazione, si parlava di calcio, di politica, spesso di argomenti futili. Ma mai uno screzio, mai un’incomprensione. Anche quando eravamo su posizioni diverse, sempre pronti al dialogo per meditare, capire, con quel tuo modo un pò sornione e tanto delicato di dire le cose, anche le più dure, le più difficili da raccontare. Quante risate dopo un tuo “bluff smascherato” al nostro mitico tavolo da poker con Nico e Roberto. Risate infinite che a volte non ci permettevano nemmeno di continuare a giocare. Ne abbiamo fatti e ricevuti tanti di scherzi. Ma uno così brutto non ce l’aspettavamo proprio. Una volta mentre eravamo in piedi in Via Umberto Primo è passato un tale, mai visto prima. “Ciao Gianfrà”. Ci guardiamo e scoppiamo a ridere senza dire nulla. Ed io “Biondì chi cazzo è questo? Ma quante persone conosci? Tutti amici tuoi sono?”
Se oggi, riflettendo su quell’episodio, affermo che sei la persona che a Squinzano aveva più amici di tutti sono certo di non sbagliarmi. Perché bastava un’occasione, anche un semplice incontro occasionale per diventare tuo amico. E chi è stato tuo amico lo è stato per sempre. Perché era impossibile non restare ammirato, ammaliato dalla tua generosità, dalla tua diplomazia. Anche, e forse soprattutto, dalla tua tenerezza di chiedere e raccontare le cose con quella tua spontaneità che qualche volta poteva anche apparire ingenua. Ma non lo era affatto. Era semplicemente il tuo modo di essere un libro aperto. Aperto in tutte le sue pagine. Un libro che posso dire di conoscere forse meglio di qualsiasi altro. Perché siamo amici da sempre e ci conosciamo da sempre. Sin da quando da ragazzini scalzi ed i pantaloncini corti anche d’inverno giocavamo nella nostra via Cavour non ancora asfaltata e con dei tratti in salita che facevano rotolare, tra le pietre, quel pallone di cuoio, che dopo ogni partita si scuciva e che noi facevamo ricucire da “Rolando” che seduto al suo tavolo da ciabattino posizionato sul marciapiede ci accoglieva sempre con un sorriso accontentando ogni nostra richiesta. Quanti ricordi. Quanti segreti io e te ci porteremo dentro per sempre. Marachelle da “ragazzacci” e confidenze da “uomini”. Non ce lo dicevamo ma sapevamo di essere gli stessi amici di sempre. Fidati e rispettosi ognuno della vita dell’altro. Ognuno con con le sue peculiarità e le proprie singolarità. Tu sempre attento e scrupoloso. Da ogni tua attività cercavi di ottenere sempre il massimo risultato. Tra centinaia di bambini che giocavano nel “campo vecchio” a calcio non so dirti se eri il più promettente. Siamo certi tutti però che sei quello che sei arrivato più in alto. Squinzano, Sorrento, Casarano, Matino, Maglie. Hai lasciato dappertutto un ricordo indelebile da calciatore e da allenatore. Ma soprattutto da uomo serio che dava il massimo sempre senza risparmiarsi mai. Tu eri quello che volavi più in alto possibile. Anche quando tutti pensavamo che quel pallone era imprendibile tu volavi e lo andavi a prendere. Tu non sei nato portiere. Tutti dicono che portiere si nasce. Non è vero. Tu eri bravo anche con i piedi. Solo che un giorno decidesti di diventare portiere e con tutta la tua caparbietà ed il tuo impegno costante lo sei diventato. Eri sempre quello che dopo un allenamento uscivi per ultimo dal campo. Non ti bastava mai. Mai sazio di migliorarti. Mai sazio di chiedere consiglio a quel “gigante buono” che adoravi e ti adorava: Angelo Paticchio.
Mentre scrivo mi sembra di essere in una prateria sterminata. Tanti sono i ricordi che giungono insieme nella mia mente. Mi rendo conto che un articolo non può nemmeno accennare la vita di una persona come te. Unica, speciale. Pertanto chiudo qua anche perchè ogni parola, ogni pausa, ogni virgola, è un colpo al cuore. Uno strazio. Avrò modo, spero di averne il tempo, di raccontare di te. Non del calciatore, del mister, ma del “mio biondino”. Del marito di Mariantonietta, del papà di Antonio e Salvatore. Del fratello di Sandro, Roberto ed Enzo. Del figlio di Rita e di “Ntunucciu Uappu”. Del nipote di “Giuditta”. Mamma mia che prateria avrò da percorrere con i tuoi, i nostri ricordi. Ma adesso basta non riesco più a scrivere. Nessuno può comprendere l’amicizia che ci lega da sempre. Un’amicizia irripetibile. Solo chi è nato ed è vissuto accanto, come noi, con il nostro modo di essere non solo amici, ma complici, “fratelli” , potrebbe comprendere. Ciao “Biondino mio”. A presto. Però, cazzo, che brutto scherzo ci hai fatto stavolta. Mannaggia a te.