La marcia su Roma non riguardò solo la capitale. Le sedicimila camicie nere che sfilarono erano solo l’avanguardia di un vero e proprio esercito che in quei giorni si impadronì dell’Italia.
Anche i fascisti squinzanesi parteciparono all’insurrezione aggregandosi a quelli di Lecce e sulle note di Giovinezza si limitarono ad occupare simbolicamente l’ufficio postale, la stazione ferroviaria e le porte di Lecce.
Tornati a Squinzano, non avendo socialisti né comunisti da “manganellare”, se la presero con gli unici che gli tenevano testa, gli ex combattenti che non erano “ancora” diventati fascisti per decreto e che spesso appoggiavano le rivendicazioni dei braccianti.
La squadraccia fascista squinzanese, la Squinternata, ne distrusse la sede e fu solo uno dei tanti episodi di un conflitto che durò fino al 1924 quando a scappare furono, per l’ultima volta, i fascisti.
A Squinzano la sezione locale del fascio si era costituita il 13 ottobre, qualche giorno prima della marcia, fondatori ne erano Alessandro Passante e il prof. Addis di San Donaci. Il 17 si era tenuto il primo comizio nel teatro Moderno che, secondo la Questura, aveva riunito 400 partecipanti “di cui undici con camicie nere”.
Il fascio di combattimento squinzanese aveva sede in via Umberto e segretario politico ne era Alessandro Passante.
Secondo i Carabinieri la sezione contava cinquantacinque iscritti e il movimento era definito di tendenza monarchica sotto gli auspici del nostro sovrano e dipendente dal fascio di combattimento di Lecce. Gli aderenti venivano descritti apparentemente ossequienti con le autorità ma non svolgono alcuna propaganda e i simpatizzanti al momento sono pochi.
Insomma, il fascismo non sembrava richiamare le folle ma tutto cambierà dopo la nascita del governo Mussolini.
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Le elezioni politiche del 1921 non avevano portato ad una vittoria dei fascisti che, anzi, avevano eletto solo trentacinque deputati e nessuno nel nostro collegio.
D’altra parte non si era nemmeno registrato, come nel resto d’Italia, il successo di socialisti e popolari. Squinzano aveva votato come al solito per il candidato locale Camillo Cocciolo, che non fu eletto, e solo 19 voti erano andati ai popolari, 8 ai socialisti e 2 ai comunisti.
Squinzano era un paese agricolo-industriale che nel 1922 contava 78 stabilimenti vinicoli e oltre trenta frantoi oleari e, anche, un gran numero di braccianti e operai necessari per la coltivazione delle terre, quasi esclusivamente vigneti e oliveti, molti dei quali immigrati da tutta la provincia e anche fuori di essa.
Questa massa enorme, sparsa tra paese e campagne circostanti, viveva di giornata e dipendeva dagli umori e dalle scelte dei “signori”, a volte, quando proprio la fame si faceva sentire, andavano a protestare sotto il municipio ma nel complesso si può dire che il potere esercitato da un centinaio di padroni era assoluto e incontrastato. Si viveva o si moriva (di fame) solo se ti era consentito di lavorare.
Sindacati, leghe e socialisti non erano di casa e anche quando, durante il biennio rosso, furono occupate alcune terre incolte, lo si fece per impulso di persone venute da fuori e durò tutto molto poco.
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Da un punto di vista politico-amministrativo inutile dire che poche decine di famiglie facevano il bello e il cattivo tempo.
Alleanze nascevano e subito morivano da oltre vent’anni e le amministrazioni, quasi sempre, terminavano tra denunce, esposti al prefetto e commissari.
Tra i protagonisti del periodo pre-fascista sicuramente Vito Margilio, considerato il più ricco del paese, a lungo sindaco e consigliere provinciale.
Alla sua morte aveva ereditato il paese il nipote, Nicola Margilio, insieme a 800.000 lire dell’epoca (quando per una giornata di lavoro si guadagnava qualche lira).
Era stato sindaco, non senza polemiche, durante gli anni della guerra e nelle ultime elezioni amministrative, quelle del 1920, in un clima di apparente concordia aveva permesso l’elezione a sindaco di uno dei suoi avversari Ermanno Cleopazzo. In realtà la “concordia” gli serviva solo per farsi eleggere consigliere provinciale, cosa che gli riuscì, e una volta eletto stabilì la fine della tregua e l’inizio delle ostilità contro l’amministrazione.
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Intanto i fascisti, davvero convinti di poter diventare la nuova classe dirigente e di estromettere i vecchi “padroni” organizzavano la loro “marcia” per la conquista del municipio.
Nella loro visione l’amministrazione comunale doveva essere presa con la violenza cacciando sindaco e giunta e insediando persone di provata fede fascista.
L’11 gennaio 1923 occuparono il municipio con la rituale esposizione di un gagliardetto del fascio, e un comizio dal balcone, tenuto da Cosimo Carlucci e Vincenzo Politi, nel quale si accusava l’amministrazione di non avere esposto il tricolore, di non avere ancora costruito il monumento ai caduti e di non avere presentato il rendiconto.
Questo scatenò la reazione di parte della popolazione, non perché fosse antifascista, ma perché sosteneva il sindaco Cleopazzo e la sua amministrazione e non mancarono gli ex-combattenti che si scontrarono con i fascisti a colpi d’arma da fuoco.
Il sindaco si dimise immediatamente ma le dimissioni furono respinte e, in più, intervenne il segretario politico della federazione provinciale che sciolse la sezione del fascio squinzanese “per avere occupato senza alcuna autorizzazione il Municipio ed imposto all’amministrazione comunale le dimissioni”.
La sezione doveva essere ricostituita con “elementi migliori” e tra questi non rientrava quasi nessuno della vecchia squadra del Passante, che, nel frattempo, si era arruolato nella appena costituita Milizia.
Gli elementi migliori erano, naturalmente, i “signori del vino” che seguendo l’esempio del Margilio si affrettarono ad indossare la camicia nera.
Lo si vedrà meglio qualche anno dopo, nel 1926, quando in ventidue si candidarono alla carica di segretario politico del fascio. Nei loro curriculum solo una voce: ricco possidente.
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Ma i fascisti non si arresero costringendo nuovamente il sindaco alle dimissioni ma, a questo punto, era chiaro che dietro vi era il solito Margilio, come appare evidente dalla lettura della mozione del consigliere Salvatore Mazzotta, approvata nella seduta del consiglio comunale del 25 giugno 1923 che respingeva le dimissioni del Sindaco.
Margilio e i suoi, senza essere mai nominati sono considerati nemico di ogni miramento del paese che una volta e per parecchio tempo ebbero in pugno assoggettandone le sorti e il luminoso avvenire alla loro disfrenata cupidità di potere.
I fascisti sono definiti anonimi Balilla che profanano questo nome glorioso con una lacrimevole incomprensione di una fra le pagine più belle della storia del nostro risorgimento e continuando non con tali armi insidiose né col famelico sbadiglio sulle ricchezze altrui, né con le frasi auto lodative del proprio talento che veramente non ebbe mai fulgori di dottrina, ma seppe avvilupparsi in tutte le nebbie della maldicenza; non è con tali armi che si possono raggiungere cittadini di specchiato patriottismo e di indiscussa probità di carattere, fra i quali sono giovani che dai torridi soli di Libia ai ghiacci perpetui del fronte austro ungarico furono come sono i veri fascisti della guerra ed hanno il diritto di drizzarsi sublimi di fede e di sincerità contro i documentati imboscati della guerra e i fascisti d’occasione del dopo guerra.
Le dimissioni furono nuovamente respinte ma era solo il primo tempo.
Il 6 luglio il professor Addis, cofondatore del fascio squinzanese, a nome della federazione dei sindacati fascisti accusò il sindaco e l’assessore anziano, Salvatore Barba, di comportamento antisindacale ed escluse il comune dal sindacato provinciale fascista dei Comuni.
Il sindaco fu costretto a cedere e il comune venne commissariato. Qualche mese dopo, il 9 dicembre, anche il segretario della sezione, oramai depurata dagli elementi più violenti, fu sostituito con il farmacista Nicola Blasi.
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Blasi resterà segretario per lunghi anni e quando sarà rimosso, ovviamente per contrasti con il clan Margilio, il segretario provinciale del fascio sosterrà di averlo fatto per dare un po' di sollievo agli squinzanesi, riferendosi all’olio di ricino somministrato a gogò.
Margilio e gli altri signori, nel 1924, si candideranno nella lista del Fascio Littorio, che stravincerà le elezioni con 1584 voti, la lista concorrente, dell’Orologio, si fermerà a 771, il Partito Popolare a 13.
Sindaco sarà eletto Antonio Pedone ma dopo due anni entrerà in vigore la legge che istituiva il podestà di nomina governativa e Margilio, amico personale di Achille Starace, farà nominare il genero, Ciro Motolese, che resterà podestà dal 1927 al 1936 prima di essere travolto dagli scandali, dal malaffare, dalla corruzione e da un sistema di governo che aveva al centro Margilio e tutto il suo clan.
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I vent’anni successivi saranno quelli delle guerre, l’Africa Orientale, la Libia, l’Albania, la Spagna, la Grecia, la Jugoslavia, la Russia eccetera. In tutte qualche squinzanese vi ha perso la vita o è tornato mutilato. Anni di corruzione, di arricchimenti, di prepotenze e poi la miseria e la fame, scioperi e proteste, sindacati fascisti che riducevano i salari invece di aumentarli, strapotere dei “signori” che non si attenevano alle “rare” disposizioni a favore dei braccianti e dei disoccupati, poi borsa nera, manganellate e olio di ricino e su tutto un grande silenzio.
In vent’anni solo tre persone osarono parlar male del regime, un sarto anarchico non originario di Squinzano e due prostitute: finirono tutti davanti al giudice e furono condannati. Onore a loro.