Il mare del Salento, meta ambita da molti turisti, riserva numerose sorprese; dalle sue profondità riaffiorano “pezzi del passato” che ridisegnano la storia dei nostri luoghi.
Risale a diverse settimane fa, infatti, la notizia di una scoperta sensazionale dal punto di vista archeologico: nel territorio delle Cesine sono stati rinvenuti i resti dell’antico porto di Lupiae che testimoniano la presenza, in epoca romana, di un imponente complesso portuale in quella che era l’antica città di Lecce. Gli studi condotti tra le Cesine e San Cataldo, dalla professoressa di archeologia subacquea Rita Auriemma e dagli studenti del dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, sono stati resi possibili grazie al progetto Underwatermuse - Immersive underwater museum experience for a wider inclusion. Tale progetto mira a trasformare i siti archeologici subacquei in un parco (o eco-museo) attraverso metodologie e tecniche innovative e / o sperimentali (tecniche di ricognizione non invasive, che precedono lo scavo vero e proprio, effettuate con l’uso di droni, Rov, ovvero robot subacquei muniti di telecamera, georadar, fotogrammetria) al fine di ridurre la perdita di un importante patrimonio culturale.
Si tratta di un molo dalle dimensioni imponenti costruito tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale (I secolo d.C.) precedente al Porto di Adriano (II secolo d.C.) situato a nord della baia di San Cataldo, dove probabilmente approda Ottaviano, subito dopo la morte di Cesare, per rifugiarsi da una eventuale cospirazione. Il molo è realizzato secondo una tecnica tipica dei porti sull’Adriatico, che prevedeva l’utilizzo di grossi blocchi parallelepipedi di circa 8 metri, realizzati in opera a cassone o a vespaio, che si estendevano per circa cento metri in direzione est-nord-est.
Il corpo è realizzato con linee affiancate di blocchi paralleli che si susseguono e nel tratto più esterno, corrispondente agli ultimi 25 metri, due file accostate di blocchi creano una specie di “colonna” centrale, con lo stesso orientamento di quello generale dell’opera muraria. In alcuni punti si conservano anche due o più filari sovrapposti, ma il moto ondoso ha generato un’ampia dispersione dei blocchi in crollo presenti all’esterno di entrambi i paramenti.
Si notano “tratti di canaletta scavata in lunghi blocchi di calcarenite, e lungo il fianco meridionale giganteschi blocchi sagomati, forse con funzione di bitte di ormeggio”, spiega la professoressa Auriemma. L’archeologa ha indicato il legame del vecchio molo con la “Chiesa sommersa”, una costruzione composta da tre grandi ambienti rettangolari, e l’esistenza di un tracciato viario che da Lecce punta direttamente all’area del molo.
Sin dagli anni Novanta, infatti, alcune ricerche avevano già portato alla luce allineamenti murari di età romana tardorepubblicana: una struttura nota come “Chiesa sommersa” (forse la fondazione di un faro), una serie di vasche scavate nella roccia, che distano 150 metri dalla costa, e un’altra sempre immersa nel mare, posizionata più a sud.
“Fare archeologia dei paesaggi nel comprensorio San Cataldo-Cesine, dove si recuperano anche insediamenti importanti dell’età del bronzo, significa fare archeologia pubblica, per restituire alle comunità locali un patrimonio di eccezionale interesse - afferma la docente - È da questo capitale culturale che occorre ripartire per immaginare e progettare la rigenerazione, la valorizzazione e una fruizione nuova del paesaggio dimenticato di un waterfront denso di storia”.
Tali scoperte archeologiche arricchiscono ulteriormente la storia e la bellezza del nostro Salento … a noi il doveroso compito di preservarlo!