Una corsa contro il tempo per salvare vite umane. Nel percorso ictus il tempo è tutto: ogni minuto recuperato, ogni passaggio inutile limato o eliminato può fare la differenza.
Dalla chiamata al 118 all’ingresso in Pronto Soccorso e poi nel tragitto verso i reparti, dove gli specialisti devono prendere decisioni e agire rapidamente, valutando il quadro clinico del paziente, gli esami di laboratorio e gli esami radiologici, Tac o Risonanza Magnetica. Sino alla procedura da applicare, a seconda che l’ictus sia di tipo ischemico oppure emorragico.
Tutto andrebbe fatto in sessanta preziosissimi minuti, il tempo ideale per limitare il danno cerebrale, migliorare l’aspettativa di vita e minimizzare le conseguenze in termini di invalidità, più o meno grave, e recupero delle funzioni. Tempi, scelte, tragitti e procedure che venerdì mattina al “Vito Fazzi” sono state sottoposti ad una sorta di “stress-test” durante la simulazione del percorso ictus. Esattamente come avviene nella realtà, per circa 380 ricoveri per sospetto ictus ogni anno, tranne che per il paziente: a fine “test” è bastato tirare un profondo respiro per rimettersi in piedi.
Nel frattempo si è visto all’opera lo “Stroke team” multidisciplinare, chiamato a ridurre i tempi e ottimizzare le procedure all’interno delle quattro ore e mezza raccomandate dalle linee guida – e perfettamente rispettate al Fazzi - dall’insorgenza dei sintomi dell’ictus alla trombolisi somministrata per sciogliere il coagulo e limitare il danno neurologico.
Migliorare ogni singolo aspetto, all’interno del più ristretto margine temporale del percorso ospedaliero, è l’obiettivo segnalato da Paola Santalucia, direttore dell’Unità Operativa Complessa dell’Ospedale di Messina. Esperta in formazione, è stata chiamata per l’occasione dal Progetto Angels, l’iniziativa internazionale no profit della European Stroke Organization (ESO), ad osservare, consigliare e valutare sul campo. E naturalmente a dialogare con i direttori dei settori ospedalieri coinvolti: Fernando Lupo (Neuroradiologia), Giorgio Trianni (Neurologia), Silvano Fracella (Pronto Soccorso), Giambattista Lobreglio (Patologia Clinica e Microbiologia) e Leonardo Barbarini (Stroke Unit).
La comunicazione all’interno del gruppo, tra reparti, medici e infermieri, è del resto uno dei fattori su cui si può incidere per razionalizzare i percorsi. Altro tempo si può guadagnare velocizzando operazioni come il prelievo del sangue, l’elettrocardiogramma, la chiamata del neurologo per la consulenza, l’attivazione della Tac o della sala AngioTac e così via. «La simulazione – ha chiarito la dr.ssa Santalucia – va ritagliata e inserita nel contesto, in modo da individuare e condividere le criticità, migliorare ogni passaggio, tagliare i tempi morti. Simulare il percorso è molto importante perché permette di valutare, di provare – anche in modo ossessivo – ogni particolare». I percorsi ictus, insomma, non sono algoritmi, ma variabili da affrontare in tempo reale grazie ad un’organizzazione e ad una logistica razionalizzate e inserite in percorsi standardizzati.
Traguardo fondamentale per il Direttore Generale ASL Lecce, Ottavio Narracci: «Sono soddisfatto dell’iniziativa e ringrazio tutti gli operatori coinvolti. Come azienda sanitaria siamo chiamati a dare risposte fondamentali nei percorsi su ictus, infarto di cuore e trauma, le cosiddette reti tempo dipendenti, che qualificano il nostro servizio sanitario». Di esperienze, risultati e sviluppi futuri si parlerà durante il workshop regionale sulla Rete Stroke in Puglia, organizzato da “Angels Initiative” a Lecce per il prossimo 23 marzo 2018, alle ore 9.30, presso Hilton Garden Inn.