Il percorso di approfondimento sul compositore leccese Armando Gentilucci (Lecce, 1939 – Milano, 1989) necessita di un’ampia conoscenza relativa al profilo artistico del musicista.
Il maestro, infatti, appare come una sorta di unicum, sia per l’intensità delle sue scelte estetiche che per la breve incidenza avuta sui movimenti degli anni Ottanta. Sin dagli esordi Gentilucci si mette in mostra nell’ambiente musicale milanese con lavori che ottengono importanti riconoscimenti: il “Concerto per pianoforte archi e percussioni” del 1962 ad esempio, vincitore del concorso indetto dall’editore Sonzogno, o “I Canti di <Estravagario> su testi di Pablo Neruda”, del 1965. Brani che potrebbero essere definiti di formazione, in cui il magistero di Bruno Bettinelli è declinato con le sonorità bartòkiane e corroborato dagli innesti di agglomerati sonori alla Varése. Tuttavia, proprio l’impegno politico in seno al Partito Comunista Italiano avvicinerà Gentilucci a Luigi Nono, con scelte estetiche decise e coerenti. Biagio Putignano, compositore, docente presso il Conservatorio di Bari e allievo di Gentilucci sottolinea: “Tra i vari brani eseguiti con il nostro ensemble, riscuoteva sempre grandi consensi <Cile 1973> per quintetto di fiati. In questo periodo intermedio, Gentilucci pur accogliendo le posizioni estetiche di Nono, ne mitiga la portata assumendo le teknai apprese da Franco Donatoni e le esperienze della tecnologia elettronica di quegli anni. Ad esempio, in <Come qualcosa che palpita sul fondo> (1973-1980) per violino e nastro magnetico, Gentilucci non rinuncia mai alla dimensione espressiva, caratteristica che acquisirà pregnante importanza nella sua ultima produzione degli anni Ottanta”. Eppure Gentilucci non ha tralasciato di studiare la tradizione musicale del passato; ad esempio, con “Mensurale” (1977) per archi, rivisita le pratiche dell’Ars Nova italiana, e con “Metamorfosi su di un alleluia” (1986) per fagotto solo, rilegge le pratiche della ‘variazione’ in una prospettiva decisamente innovativa ed unica. Non disdegna neanche la reinterpretazione di forme promiscue tra la tradizione colta e quella popolare, con “Pour un Ragtime englouti” (1982) per pianoforte, e si dedica alla produzione di musica per giovani esecutori raccolti ne “Lo scrigno dei suoni”, per pianoforte. Aggiunge Putignano: “Alla fine degli anni Settanta, con la partitura <Il tempo sullo sfondo> (1979,) rompe con le posizioni intransigenti dello strutturalismo dell’epoca e, anticipando praticamente tutti, recupera la dimensione ‘espressiva’ fino ad allora fondamentalmente negletta da quasi tutti i compositori, unendola ad un’attenzione particolare al ‘suono’ come fenomeno di fondo della comunicazione musicale”. Gentilucci non scrive soltanto musica, ma accompagna la sua produzione con una intensa riflessione estetica, che condensa nel volume “Oltre l’avanguardia: un invito al molteplice” (1979) con ampie sintesi sulla produzione propria in relazione a quella di altri compositori emergenti del periodo. Sarà questa una scelta che ha quasi del ‘profetico’ visto il corso che negli ultimi decenni ha assunto la produzione dei compositori della generazione attuale. Gentilucci con la sua intuizione e la sua determinazione ha spianato una strada che sembrava irrecuperabile.