Trasmettiamo di seguito una lettera dello squinzanese Dott. Salvatore Sisinni sul delicato tema dei suicidi in carcere e non solo.
"De mentis insania
Ovvero Del suicidio.
Che una persona in carcere - un detenuto o detenuta, più frequentemente il primo - si tolga la vita non è una novità. La mancanza di libertà pesa come e quanto un macigno. E subito mi viene in mente il verso della Commedia di Dante: … libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta… (Purgatorio, Canto I, vv. 70-72). È una novità, invece, che i suicidi dei giovani e degli adolescenti, fuori dal carcere, siano in continuo aumento. E questa è una novità davvero preoccupante. Per cui è doveroso, da parte dei genitori, degli educatori (insegnanti, religiosi, pedagogisti), interrogarsi sul perché del fenomeno, per poi trovare qualche soluzione che serva non a debellare questo tragico evento ma almeno per arginarlo.
Il suicidio di un giovane di trentadue anni è accaduto nel carcere Borgo San Nicola a Lecce.
Le cause non si conoscono in quanto le indagini di rito sono in corso. Da un giornale ho appreso che il grave fatto sia avvenuto durante il cambio di turno del personale addetto alla custodia dei detenuti. Intanto, dai dati raccolti della Vilma-Polizia penitenziaria salgono a settanta il numero dei suicidi in carcere verificatesi nel corso di quest'anno, quando mancano ancora due mesi e mezzo alla conclusione di esso. Un dato veramente preoccupante! A questo punto, però, non si possono non allargare le considerazioni ai suicidi dei giovani che, non essendo stati privati della libertà, anzi che ne hanno fin troppa, decidono di farla finita. Molte possono essere le cause di un suicidio giovanile, oltre quella della perdita della libertà, che vale per il caso del detenuto suicida sopra citato. Ne elenco qualcuna: una delusione sentimentale, l’infedeltà del partner o una separazione mal o non digerita, un insuccesso nella carriera o negli studi. In questi casi la causa del gesto estremo è comprensibile, anche se non giustificabile. Un'altra causa, che non sempre viene presa in considerazione, che non sarebbe comprensibile e, men che meno, giustificabile, è il taedium vitae, che liberamente traduco in noia. E subito penso ad un famoso romanzo di un grande scrittore italiano, Alberto Moravia. Tale sentimento, del tutto negativo, potrebbe, alla lontana, somigliare al "cane nero" di Gervaso oppure al "male oscuro" di Berto. Con la differenza che questi, oggi, poi sarebbero la depressione - oggi curabile e anche bene - mentre la noia non si può curare con la chimica ma si può prevenire in modo diverso: far comprendere, sin dall'infanzia, sia in famiglia che a scuola - le due agenzie educative per eccellenza - quale sia il vero senso della vita. Che, per chi crede, è sacra ed è un dono che ci viene dall'Alto in concorso con i nostri genitori. Mentre per chi non crede resta sempre un dono fatto dai propri genitori e che, essendo ugualmente prezioso - anche se non sacro - va gelosamente custodito sino alla fine naturale dell’esistenza".