Tralasciamo ciò che abbiamo esposto nella prima parte di quest’articolo, la scorsa settimana, relativamente alle incongruenze tramandate nel tempo e di volta in volta pubblicate nei vari libri (altezza, nome del costruttore e data di realizzazione).
Vogliamo in quest’articolo trattare qualche episodio della storia del campanile di Squinzano, avendo cura di separare le leggende dai fatti accertati attraverso fonti scritte o quantomeno credibili.
Una delle certezze inconfutabili è che la parte superiore del campanile fu portata a termine intorno all’anno 1695. Questo infatti ci risulta dal testamento di don Donato Carbonero, sacerdote squinzanese morto in quell’anno, il quale nominò erede universale del suo ingente patrimonio il Capitolo di Squinzano, con “l’obbligo di finire di fabbricare il campanile e di far fare le campane”. Il nuovo campanile quindi sostituì quello più antico, ma più piccolo, di cui è rimasta traccia nella parte interna dal lato nord, sotto la scala che porta alla ringhiera del primo piano.
Una storia invece poco chiara è quella che addebita alle scosse sismiche del 1694 la spaccatura in due parti del campanile. Si racconta che il terremoto avrebbe determinato anche la caduta delle campane e che pertanto gli architetti intervenuti si resero conto che ben presto la struttura sarebbe caduta provocando anche la distruzione della chiesa sottostante. Dalle cronache del tempo però risulta che il terremoto del 1694 colpì l’Irpinia e la Basilicata, le città più colpite furono Avellino e Potenza. Il sisma di magnitudo 6,87 si verificò alle ore 18:45 dell'8 settembre di quell’anno e durò circa un minuto causando circa 6.000 morti. Non sappiamo se fu avvertito dalle popolazioni che abitavano la provincia di Lecce. C’è di certo che nessun danno venne registrato ufficialmente nel nostro territorio. Non è da escludere che la necessità dell’intervento di restauro del campanile sia stata determinata da una cattiva costruzione dell’opera originariamente.
A proposito della stabilità della torre campanaria vogliamo raccontarvi un particolare abbastanza curioso: sul campanile sono inserite numerose iscrizioni e preghiere rivolte al Signore. Una di queste è tratta dal Purgatorio di Dante e testualmente recita: “sta come torre ferma che non crolla giammai la cima offiar de’ venti”. Alla luce di quanto riportato sopra, l’iscrizione appare, agli occhi nostri, una mancata profezia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale le campane di molte chiese, e anche quelle del nostro campanile, furono prelevate forzatamente perché il metallo con cui erano forgiate era necessario alle cause belliche nelle quali il governo di allora si era impelagato. Le cronache squinzanesi del 1946 registrano le prime elezioni libere del dopoguerra organizzate dal Comitato di Liberazione Nazionale che aveva il compito di traghettare la nazione verso la democrazia.
A gennaio del 1946 Sindaco della nuova era divenne Agostino Papa che il 3 marzo, appena eletto, con un manifesto pubblico annunciò ai cittadini la volontà di ripristinare l’uso delle campane raccomandando, tenuto conto dell’esigua disponibilità finanziaria del comune, la collaborazione dei cittadini. Affidò così immediatamente, senza attendere il contributo degli squinzanesi, l’incarico di costruire le nuove campane alla ditta Giustozzi di Trani. Le nuove campane suonarono a festa già la Domenica delle Palme dello stesso anno in una giornata di sole con Piazza Plebiscito imbandierata e vestita a festa. Tra i presenti si registra la partecipazione dell’Arcivescovo di Brindisi, di molti prelati di Lecce, di tutto il Clero Locale, del Prefetto, del Questore, del Capitano e del Maggiore dei Carabinieri, oltreché, naturalmente dello stesso Sindaco.
Furono eseguite dalla banda le musiche sinfoniche dei Maestri Abbate, fu intonato in latino il canto “Pange Lingua”, con voce ieratica a cura di un coro ed alla immensa folla di fedeli. Infine, dopo un discorso di ringraziamento, le campane furono benedette compresa una più piccola, di appena 12 Kg, donata dalla ditta appaltatrice per la Chiesa della Madonna dei Martiri. Le campane principali, oltre all’effige dello stemma comunale, recavano alcune scritte in latino, il nome del Sindaco e dei parroci dell’epoca. Su quella più pesante, di 8 quintali circa, era stata incisa l’immagine del Santo Patrono San Nicola e del Sacro Cuore, su di un’altra un po' più piccola, quella di San Vincenzo Ferreri e della Madonna della Pace; in un’altra ancora più piccola quella di San Rocco e della Madonna del Buon Consiglio. Nelle due campanelle dell’orologio di Piazza Plebiscito, infine quella dei SS. Medici Cosimo e Damiano. (Angelo Cappello, in un bellissimo articolo, pubblicato su Giornale Totem del marzo 2016, raccontò in maniera completa l’intera cronaca di quello storico giorno. N.d.r.)
Ma veniamo ad un fatto più recente. Negli anni ’90 in campanile fu oggetto di restauro da parte della locale ditta del nostro concittadino Gino Pagano. I lavori erano quelli relativi ad un progetto, interamente finanziato dalla Chiesa, senza fondi pubblici, redatto dall’architetto Novembre. Il campanile fu completamente ingabbiato con una struttura metallica, da terra fino alla cima. Durante l’esecuzione dei lavori nell’ultimo piano del campanile, in un pomeriggio caldo di primavera, una chiamata alla Polizia Locale allertò gran parte delle istituzioni. Un operaio aveva avuto un malore ed aveva perso i sensi. Non c’era modo di portarlo giù in nessun modo. Intervennero diversi medici locali, ma solo uno riuscì a salire fino all’estremità del fabbricato, il dott. Salvatore Micelli insieme all’operatore della Polizia Locale Roberto Schipa. Dopo il primo intervento da parte del medico per rianimare il ragazzo (L.L.V trentenne di Trepuzzi) furono chiamati ad intervenire i Vigili del Fuoco i quali dapprima non riuscirono a raggiungere la cima del campanile in quanto l’automezzo non risultò idoneo per l’altezza insufficiente della scala. Successivamente un secondo automezzo dei Vigili del fuoco riuscì a raggiungere la vetta perché dotato di un’autoscala più lunga attraverso la quale fu portato giù il ragazzo fasciato su una barella. Si seppe in seguito che il giovane operaio aveva un problema celebrare che si manifestò improvvisamente durante i lavori stabilendo quindi l’assenza di qualsiasi nesso tra il malore e il lavoro che stava effettuando.
La storia del campanile meriterebbe bel altro spazio rispetto a quello che può ospitare un articolo di giornale pertanto ci siamo limitati a raccontarvi qualche singolo episodio promettendo che riprenderemo l’argomento in maniera più approfondita.
Chiudiamo con una storiella riportata, nel 1960, da Agostino Papa, accademico della Tiberina, della Legion d’Oro e della Lanitate Excolendae nel suo libro “Squinzano come la vedo - storia – leggende – storielle”.
In una rigida serata d’inverno, mentre il Sindaco del tempo dott. Annicchio (Primaldo Coco nel suo libro CENNI STORICI DI SQUINZANO del 1922 raccontando l’episodio fa riferimento a Cappuzzimmati come sindaco dell’epoca in cui sarebbero avvenuti i fatti) dirigeva verso la propria abitazione, venne avvicinato da due signori – evidentemente due forestieri – i quali si lamentarono di non trovare qui a Squinzano alcun posto pubblico ove poter mangiare e dormire. Nel 1600 Squinzano contava appena tremila abitanti e non aveva né alberghi né ristoranti. Il Sindaco rimase sconcertato di fronte ai due, ma volendo dimostrare che il suo paese era però assai sensibile al dovere dell’ospitalità, condusse seco nella propria casa i due forestieri, dando loro di che rifocillarsi e una comodissima camera da letto per passarvi la notte. Gli ospiti vi restarono per vari giorni, fatti segno da parte del Sindaco di molte gentilezze e doni vari, sicché, nel congedarsi, i due forestieri non finivano di ringraziarlo, promettendo in appresso disobbligare di tanta cortesia.
Di lì a pochi mesi il dott. Annicchio, riconfermato nella carica sindacale, dovette recarsi a Napoli onde prestare il debito giuramento al Viceré; ma giunta la diligenza su cui viaggiava con altre sette persone, nella famosa e paurosa valle di Bovino, tristemente nota come il maggior covo brigantesco di tutto il Regno Napoletano, furono fermati da una masnada di banditi mascherati, moschetti puntati, e la frase usuale e minacciosa: “La borsa o la vita!”.
Senonché, visto che ebbero, attraverso i buchi della maschera, riconosciuto il Sindaco di Squinzano, due dei briganti che sembravano comandare gli altri, gli s’inchinarono dinanzi, e quasi pregando i viaggiatori che al loro ritorno ripassassero da quello stesso luogo, dettero ordine al postiglione di continuare il viaggio, senza nulla più pretendere.
Tra il terrore per la brutta avventura e il proponimento di non più rifare al ritorno la medesima strada, il Sindaco e i suoi compagni di viaggio ripresero il cammino un po' anche sorpresi per la subitanea ritorsione dei briganti che non avevano torto loro un capello né tolto alcunché; né sapevano a quale ignota intercessione miracolosa essere grati di ciò. Però, dopo una decina di giorni di permanenza a Napoli, cambiarono strada lo stesso, e il ritorno lo fecero sulla via di Avellino.
Avevano però fatto il conto senza l’oste, perché quei medesimi briganti, prevedendo la loro mossa, andarono ad attendere la diligenza anche su questa strada ed intimarono l’alt per la seconda volta. Vano, per quanto grande, lo spavento dei viaggiatori, perché due dei briganti, toltasi questa volta addirittura la maschera dal volto ed inchinandosi innanzi al Sindaco di Squinzano, gli porsero una borsa colma di monete d’oro, dicendogli: ”Anche se voi, signor Sindaco, non ci riconoscete, noi siamo i due forestieri che voi accoglieste, in Squinzano, nella vostra casa ospitale e tante gentilezze ci avete usate. Rivediamo nella vostra persona il vero gentiluomo di quei giorni, e siccome durante la nostra permanenza nel vostro paese abbiamo potuto constatare come la vostra chiesa matrice sia provvista di un campanile assai piccolo, inadeguato e quasi cadente, noi facciamo dono di quest’oro perché voi lo adibiate per la loro costruzione di un nuovo e più degno campanile per Squinzano”.
Non passò molto tempo che il Sindaco, ottemperando al desiderio dei due donatori, affidò la costruzione del campanile, quello che tutt’ora si ammira in Squinzano, all’ingegnere Saverio Tommasi, che fece opera degna e pregevole. L’antico piccolo campanile fu assorbito dal nuovo, ed è rimasta traccia della sua struttura nella parte interna e dal lato a nord, sotto la scala che porta alla ringhiera del primo piano.
Storia o leggenda, questa dei briganti? … - conclude il Papa - Ma se vera storia non è, c’è però da domandarsi perché lo stesso Sindaco del tempo volle che fossero incise, nei quattro medaglioni del secondo e terzo piano dell’opera campanaria, la effige dei briganti donatori …?
Avremo modo in futuro di dire la nostra anche sulle immagini scolpite sul campanile. A presto.