Sant’Elia diventa set cinematografico in attesa di riscoprirne i tesori

Riceviamo e pubblichiamo integralmente l’articolo ricevuto in redazione da Marco Antonio Presta, che ringraziamo per il suo contributo.

“Siamo sempre stati abituati a vedere il nostro convento di Sant’Elia come un rudere vecchio e sfatto che si erge su un ameno colle, come se fosse un anziano saggio che scruta il paesaggio circostante immerso nei nostri ulivi ormai morenti, stremato dal suo nemico principale, il tempo.

La storia di questo luogo ha qualcosa di incredibile e affascinante, una storia mai raccontata che inizia in un tempo molto lontano... Ma andiamo per gradi. Correva l’anno 2008, all’epoca ero uno studente di archeologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma, affascinato soprattutto dai luoghi inesplorati del mio territorio. Un giorno, mentre “girovagavo” su        Google Maps in zona convento di Sant’Elia, la mia attenzione cadde su di un “crop marks”, ovvero una irregolarità nella crescita della vegetazione dovuta a costruzioni o vuoti nel sottosuolo. Tornato qui a Squinzano durante il periodo natalizio feci un primo sopralluogo sul posto e dopo pochi minuti, mentre scrutavo il terreno spostando delle zollette di terra con le mani, trovai una statuetta in pietra dalla presumibile forma di un bufalo. Dieci anni dopo, lo feci finalmente visionare dalla direttrice di un museo qui in zona che confermò senza mezzi termini la presenza della mano umana sul manufatto. Fu così che entrai in contatto con la Soprintendenza di Lecce e con un gruppo di archeologi che in più occasioni mi aiutarono a perlustrare la zona, rinvenendo: ceramiche del IV-V secolo d.C. (si parla di ceramica sigillata africana) e del X-XI secolo d.C. (queste ultime dipinte a mano); grotte ipogee scavate nella pietra (forse cave da cui si ricavava il materiale da costruzione); parte di edifici che riaffiorano in parte dal terreno, e tanto altro.

Le fonti storiche collocano spesso in questo luogo la fondazione del casale di Tito Quinzio Flaminio, console romano, che attorno al 190 a.C. riscattò questo territorio a seguito delle guerre tarantine, costruendo qui la sua dimora, “Villa Quintina” di cui, a quanto pare, non rimane (per ora) nessuna traccia.

Studi effettuati, ci portano direttamente al 1157, quando il casale ebbe una grandissima crescita demografica dovuta alla distruzione delle città Messapiche di Valesio e Bagnara, distrutte dal re Normanno Guglielmo il Malo. Dobbiamo attendere il 1575 per la fondazione del nostro convento, luogo importante e fortemente voluto in quanto punto nevralgico di passaggio per monaci e frati viandanti che sostavano per rifocillarsi prima di raggiungere la loro meta; era, molto probabilmente, una località comoda “alli patri del transito da Ruscie in Misagnie per la bona strata de invernata” (Campi, arch. Cap. ivi f. 428r.). Spesso infatti i frati, provenivano da Lecce (Rudiae) dirigendosi verso Mesagne o Brindisi, passando appunto da Campi, Trepuzzi e Squinzano. In “Ricerche e studi in Terra D’Otranto” di Lorenzo Floriano Invidia, si racconta che questo colle doveva ancora essere avvolto da una atmosfera di sacralità in quanto, durante la costruzione del convento, apparivano ancora alla vista i ruderi dell’antica “grancia di Calogeri”. La grancia era quella che noi oggi chiameremmo azienda agricola; I Calogeri, dal greco (καλόγηρος) “buon vecchio” erano monaci ortodossi provenienti dalla Grecia che probabilmente arrivarono nel nostro territorio durante le persecuzioni iconoclaste del 726 d.C. volute da Leone III Isaurico ( Imperatore bizantino).

Nel 1751 il nuovo Vescovo di Lecce Alfonso Sozi Carafa, si mostrò “…munifico per le opere del culto e per la conservazione e ricostruzione dei monumenti sacri di Lecce, nonché mite e umile, desideroso di pace, pieno di zelo e caritatevole. Nel tempo libero dal ministero amava ritirarsi nella solitudine a pregare e meditare…” (P. Salvatore da Valenzano, o. c., p. 126). Ed è proprio qui, nel nostro convento, che il Vescovo costruì a sue spese un secondo piano adibito a foresteria per lui e i suoi domestici, dove sostare e pregare in quelle tranquille giornate primaverili, riscaldati dal tepore del sole salentino e accarezzati dalla nostra brezza di tramontana.

Abbandonato nel 1811 a causa della legge Murattiana Napoleonica, resta fino ai nostri giorni un luogo magico in cui passare spesso le giornate allietati dal suono del vento e da quel silenzio che avrebbe tanto da raccontare.

Più volte ho avuto un confronto con il GAL per trovare un modo di valorizzare il rudere ma ad oggi non si è ancora arrivati a una decisione ben precisa. Nel mese di agosto ho ricevuto l’autorizzazione ad utilizzare il nostro convento come set cinematografico per la realizzazione del trailer “La scintilla nel deserto”, curato dal team di lavoro del cineclub universitario Unisalento, coordinato dal regista Francesco Leone, che parteciperà a vari bandi nazionali e internazionali, un modo, insomma, per iniziare a far rivivere in qualche modo il nostro rudere.

In futuro, in collaborazione con le Associazioni e gli Enti che si dimostreranno sensibili al tema, contiamo di coinvolgere l’Università del Salento per effettuare delle campagne di scavo volte a riqualificare la zona e con l’aiuto dell’intera cittadinanza di Campi, Squinzano e Trepuzzi cercheremo di ripulire gli spazi utili per poter organizzare mostre, presentazioni di libri e di eventi culturali.

Questo è solo il punto di partenza di un progetto che pian piano si sta delineando per ridare anima a quel corpo ormai spento da tempo. Abbiamo un tesoro, diamogli il giusto valore”.

Ilaria Bracciale

Redattrice

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(Henri Bergson)

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