Di un cosiddetto mostro di Squinzano si parla in un articolo a firma di Oreste Caroppo ben scritto e ben argomentato e che consiglio di leggere.
http://naturalizzazioneditalia.altervista.org/cosa-e-il-mostro-di-squinzano/
Non starò a ripetere quanto già scritto a proposito del vaso, della sua datazione ed attribuzione ma aggiungo, alle ipotesi dell’autore, un’altra possibile interpretazione.
Preliminarmente ci terrei a dire che il mostro non è di Squinzano, come sembrerebbe dal titolo, ma si tratta di una creatura raffigurata su un vaso, forse, ritrovato in territorio di Squinzano (più probabilmente Valesio) nei primi decenni del ‘900.
Lo dico da buon campanilista che non ci tiene ad accostare il termine mostro al proprio paese.
Tornando al vaso va detto che è un cratere, adoperato per mescolare il vino puro con acqua e aromi vari, accompagnava il defunto nell’aldilà ed è decorato con una scena che rimanda al vino e ai piaceri.
Sarebbe uno dei tanti vasi ritrovati nelle tombe di Valesio se non presentasse una iconografia che lo rende un “unicum”, la presenza di una strana creatura tra due figure umane.
Per cercare una spiegazione bisogna risalire ad un tempo molto lontano quando chi passeggiava per boschi e foreste correva il rischio di incontrare creature di tutti i tipi. Centauri, ninfe, menadi, satiri e sileni insieme a dei e semidei e tanti altri esseri nati dalla fantasia. Un mondo magico, popolato da creature fantastiche molte delle quali cattive e pericolose per gli uomini e soprattutto per le donne.
La figura maschile è stata identificata con un satiro ma i satiri erano creature metà uomo e metà capra mentre il giovane rappresentato manca di attributi caprini e possiede tutti gli attributi di Dioniso, il dio del vino, delle feste, della follia, del caos, dell'ubriachezza, delle droghe e dell'estasi. Riconoscerlo è semplice per la presenza del tirso (bastone con in cima una pigna o edera), per la corona di edera e per il flauto.
Nel nostro vaso è in compagnia di una menade (o baccante).
Le Menadi erano le tre figlie di Menio, re di una città vicino Tebe, che Dioniso portò alla pazzia, all'infanticidio e all'omofagia. Accompagnavano Dioniso nel suo girovagare per i boschi partecipando alle sue imprese.
L’elemento che permette di riconoscere una menade nella donna raffigurata è la presenza del tirso con l’edera.
La terza creatura è Sileno, il tutore di Dioniso e suo compagno dapprima saggio e poi, in vecchiaia, dedito solo al vino e alle donne.
I Sileni erano creature a metà tra uomo e cavallo come testimonia la coda. Sileno è una divinità minore dei boschi, di natura selvaggia e lasciva, imparentato con i centauri e nemico dell'agricoltura.
Che si tratti di Sileno è confermato dalla presenza di alcune caratteristiche animalesche come la coda e le orecchie equine e dal volto buffonesco e camuso, dal corto mantello sulle spalle e dalla calvizie.
Lo sguardo che scambia con la baccante potrebbe essere di disapprovazione, per un rifiuto, o un invito che comunque la donna non sembra accogliere.
Una ipotesi come tante altre che se ne possono fare.