Il grande cortile del Duomo fu costruito durante l’episcopato di Mons. Gerolamo Guidano (1420 – 1425). I lavori furono portati a termine, probabilmente, da Giovan Battista Castromediano
dal 1535 al 1552, il quale ampliò ed abbellì tutto il cortile.
La documentazione più antica risale all’anno 1577. In quell’anno ebbe luogo la Santa Visita di Mons. Belli Pompeo, vicario apostolico. Questi era stato inviato a Lecce nel marzo del 1571 da Papa Pio V per sostituire temporaneamente il Vescovo Annibale Saraceno (1560 – 1591), privato della guida del Governo e dell’Amministrazione della chiesa leccese in quanto erano sorte “gravi discussioni e controversie in seno al Capitolo Cattedrale”. Mons. Saraceno fu comunque poi reintegrato nel suo ufficio nel 1580.
Altri lavori furono eseguiti da Mons. Spina (1591 – 1639), dal Vescovo Pappacoda (1639 – 1670) che ampliò anche il Palazzo Vescovile nel 1649, e durante il Vescovato di Don Fabrizio Pignatelli (1696 – 1734) nel 1725.
In quei tempi quasi al centro del cortile, verso l’attuale facciata secondaria della cattedrale, esisteva un pozzo, ben visibile in un’antica illustrazione del Renzi.
E’ bene precisare che entrando nella grande piazza possiamo ammirare, trovandoci di fronte, non la facciata principale, ma quella secondaria, in quanto la prima è posta sul lato laterale a destra della chiesa.
In questa piazza un tempo si svolgeva un’importante fiera, la prima domenica del mese di novembre, con la partecipazione di mercanti provenienti da tutte le parti del Regno.
La “Fiera Leccese” non era tra quelle istituite in una riunione del Parlamento Generale che Federico II di Svevia tenne a Messina nel 1234. In quell’elenco che ridisegnava il nuovo assetto delle fiere del “Regno di Napoli” figuravano Sulmona, Capua, Lucera, Bari, Taranto, Cosenza, Reggio, Lanciano, L’Aquila, ma non Lecce. Queste fiere godevano di alcuni privilegi tra i quali quello di non essere soggette al pagamento della “dogana” ma solo a quello relativo al “dazio”.
Successivamente all’istituzioni delle suddette fiere che possiamo definire di carattere nazionale, in Terra d’Otranto ne furono istituite numerose tra le quali quella di Santa Maria di Cerrate, la Fiera di San Giacomo, la Fiera delle Rose, la Fiera di Sant’Oronzo e la Fiera di Tutti i Santi, che si svolgeva, appunto proprio nel vasto cortile del Duomo.
La fiera detta anche del Vescovado o della Chiesa Madre, si svolgeva la prima domenica di novembre. Non si conosce la data esatta della sua istituzione. Diverse sono le fonti che sull’argomento fanno delle supposizioni. Il Fatalò e il Palumbo, come anche Giulio Cesare Infantino, asseriscono che l’istituzione sia avvenuta nel 1452 da Giovanni Antonio Del Balzo, Principe di Taranto. Probabilmente non fu così, anche perché il più antico documento che riporta il titolo di questa fiera risale al 1407. La fiera nel corso dei secoli cambiò spesso data e durata. Nel 1468 Ferrante D’Aragona la protrasse a otto giorni. Nel 1517 il vicerè Raimondo di Cadorna la fece differire dalla prima domenica di novembre al 15 dello stesso mese e durava fino al giorno 24. Probabilmente fu spostata per la concomitanza con la Fiera di Nocera. Ancora in una pubblicazione dell’Ughelli del 1662 è scritto che la fiera si svolgeva nella Piazza del Duomo per otto giorni di fila.
Il 6 novembre 1757, prima domenica del mese, la cattedrale fu riconsacrata dall’allora Vescovo Mons. Sozy-Carafa. Il De Simone scriveva in un suo libro che “durante la fiera ogni compratore e venditore offriva una regalia al Vescovo”. Questi doni venivano presentati al Monsignore su un vassoio (in dialetto “spasa”); per questo la fiera detta anche “de lu pescupatu” veniva detta, sino alla fine dell’800, “la spasa de Monsignore”.
Successivamente la fiera fu ridotta ad un solo giorno: la prima domenica di novembre. Perché in quel giorno si celebrava la consacrazione della cattedrale a Maria Santissima.
Negli ultimi anni Piazza Duomo a Lecce è stata interessata dalla rievocazione di quella che una volta veniva detta “La Fiera te lu panieri” a cura dell’Associazione leccese “Artana” che si occupa della valorizzazione delle attività ricreative e di beni culturali che ha proposto prodotti e manufatti in linea con le usanze del passato.